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Informatica

Spreadable Media

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di Federico Mussano

Internet e i nuovi media raggiungono sempre più, grazie alle reti di tipo social e ad altri fattori come l’ampia disponibilità di dispositivi e piattaforme in mobilità, platee vaste e differenziate: è ormai diffusa la consapevolezza del valore aggiunto apportato da questi insiemi di produttori/consumatori di informazioni così come è sotto gli occhi di tutti la partecipazione attiva nella creazione di senso nei media in rete. Appare quindi un po’ strano (o almeno frutto di una forma di ironia della sorte, come osservano gli autori di Spreadable media, testo dedicato agli studiosi dei media ed ai professionisti della comunicazione, nonché a tutti coloro interessati alla creazione e condivisione di contenuti) che il concetto di viralità (marketing virale, media virus e simili) venga accettato in forme così piatte e acritiche: un media virus sembrerebbe idoneo a infettare audience passive, ma di passività nella maggior parte delle platee qui sopra brevemente descritte ve n’è ben poca.

Quel che non si diffonde è morto: questo detto (sovente citato nella versione originale, forse più accattivante per via della rima, «if it doesn’t spread, it’s dead») si presta a diverse valutazioni e interpretazioni e può abbracciare ambiti assai vasti uscendo quindi da un’accezione limitata di diffusione intesa come capillare distribuzione dell’informazione ma in maniera sostanzialmente unidirezionale, un po’ in stile radio Anni Trenta… anni in cui peraltro Bertolt Brecht già prefigurava la trasformazione della radio dall’ascolto passivo di massa a mezzo di partecipazione collettiva. Si era nel 1932 (non certo nei tempi attuali che stanno vivendo, all’insegna del rivoluzionario concetto di Hybrid Radio, il connubio sinergico tra il broadcast e la bidirezionalità di internet e del web) e Brecht già auspicava una radio che «sapesse non soltanto trasmettere ma anche ricevere» cosicché l’ascoltatore parlasse senza isolarsi e si mettesse in relazione.

Uno dei passaggi più interessanti del libro è nel capitolo IV “Che cosa costituisce una partecipazione attiva?” laddove, al paragrafo “Resistenza contro partecipazione”, si evidenzia come nel mondo della pubblicità si ragioni ormai sovente in termini di comunità di brand con aziende che, anziché pretendere di creare tali comunità, assecondano e corteggiano comunità esistenti favorendo quindi tipi di conversazioni che le imprese desiderano agevolare. Il pubblico del Web 2.0 è sempre più attivo e “sovrano” (con contorni sulla sua effettiva sovranità ben discussi in diverse pagine del testo), i media tendono a essere sempre più “diffondibili”.

 

H.Jenkins, S.Ford, J.Green

Spreadable media

I media tra condivisione, circolazione, partecipazione.

Apogeo, 2013

pp. 364, euro 28,00

 

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