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L’Orto fascista, la ribellione di una comunità all’occupazione tedesca

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di Elena D’Alessandri 

“Il Federale aveva attraversato tutto il corso principale, ergendosi a bordo della sua vettura scoperta con la boria di un conquistatore e sventolando in alto la mano destra in un prolungato saluto romano. Rispondeva con sussiegosa cordialità ai tanti “Eia! Eia! Alalà!” delle camicie nere schierate ai lati della strada, alle quali si univa, più per convenienza o curiosità che per convinzione, qualche residente. Con la mente unicamente rivolta a Roma e al “suo” Duce, era giunto, circondato da un nugolo di camicie nere, a inaugurare il locale Orto di Guerra, detto anche Orto Fascista”. 

 

E’ con queste parole che apre “L’orto fascista”, di Ernesto Masina – pubblicato nel 2013 da Pietro Macchione Editore (216pp, 15 Euro) – trascinandoci nella vita di Breno, un piccolo centro della Valle Camonica, nel 1943. La trama – opera di fantasia dell’autore – ruota tutta attorno all’istituzione dell’orto di guerra, un piccolo appezzamento pubblico che veniva affidato alle cure della popolazione del luogo, una comunità che – insofferente alla presenza tedesca – decide di organizzare un attentato: far saltare in aria l’auto dei tedeschi, al solo fine di ristabilire gli ‘equilibri’. Purtuttavia, l’inattesa presenza a bordo della vettura di un giovane ‘crucco’, rimasto ucciso dall’esplosione, solleva un pandemonio incredibile che si risolverà in modo imprevisto e farsesco.

Un racconto corale, strutturato in brevi capitoli, che tratteggia con grande capacità le tante e diverse figure del Paese: il farmacista Temperini, un uomo solo e in fondo pavido, la maestra Lucia, una donna bella costretta a concedersi per facilitare la carriera del marito, Don Pompeo, prete più per convenienza che in virtù di una fede robusta… Masina è bravo nell’offrire al lettore, con una prosa asciutta e leggera, uno spaccato dell’epoca, di cui delinea con maestria il ruolo della famiglia, quello della Chiesa e quello della collettività, senza nascondere fame e povertà e una riflessione sulla profonda insensatezza della guerra…

Un racconto insolito e accattivante, primo di tre romanzi, che l’autore ha pubblicato con lo stesso editore, accomunati dall’ambientazione a Breno: “Gilberto Lunardon detto il Limena” (2014), che si colloca dopo la Liberazione, e “Loro di Breno” (2018), che narra di fatti avvenuti nei primi anni ’40 venuti alla luce alla fine del decennio.

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