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Filosofia

La possibilità di un altrove

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di Francesco Roat

Soggetto e oggetto, spirito e materia, realtà e immaginario, interpretazione e incontrovertibilità, essere e divenire. Questi e tanti altri dualismi hanno contraddistinto in gran misura il pensiero filosofico occidentale, costringendolo ad un dualismo paralizzante/lacerante e a formulare opposizioni non in grado di coesistere, di venire accolte insieme. Non solo: è fin troppo spesso emersa la tendenza a rigettare uno dei due campi contrapposti optando, ad esempio, per la fisica ‒: la concretezza dei dati empirici ‒ rifiutando la metafisica ‒: la possibilità di un oltre/altro/altrove rispetto agli aspetti meramente materiali e/o oggettuali.

Dando altresì ben poca importanza ad ambiti liminali o di soglia, quali il sogno, l’intuizione poetico-poietica, la contemplazione meditativa: a spazi privilegiati, cioè, in grado di connettere quanto a prima vista appare irrelato e inaccostabile; facendo propria insomma una opzione/presa di posizione rigida, tendente a privilegiare questa o quella limitativa dimensione dicotomica. Ma per sfuggire ai dualismi si potrebbe auspicare ‒ come fanno Paolo Bartolini e Silvano Tagliagambe nel loro saggio, intitolato Per una filosofia del tra ‒ una modalità di conoscenza/condotta capace di abitare il poroso confine tra astrazione e vissuto e di non farsi ingabbiare dalla logica classica che non prende in considerazione quanto non sia razionale o razionalizzabile.

In un ritorno, se vogliamo, alla filosofia più antica, che era amore per la saggezza e anelito a ricercare (e trovare) una gestione di vita buona, nel senso più ampio espresso dal termine metaforico greco eudaimonia, che allude ad una felicità come scopo al contempo dell’esistenza e dell’etica. Per una morale non dogmatica come terza via tra egocentrismo e altruismo, nella consapevolezza della nostra generale interdipendenza; coscienza che dovrebbe affratellare gli uomini, farci capire che l’io da solo non si salva se ‒ cristianamente e buddhisticamente ‒ il suo prossimo perisce; e inoltre che noi non siamo affatto monadi isolate o isolabili, bensì una rete interconnessa con tutti gli esseri viventi del pianeta.

È quindi sempre più urgente una trasformazione davvero ecologica del modo di porsi da parte dell’io nei confronti del tu e del mondo-universo. Così, scrive Bartolini: “Trasformarsi vuol dire, soprattutto e in primo luogo, coltivare le trascendenze che consentono al singolo di collocarsi all’interno della città (con la sua comunità politica) e del cosmo, superando la centratura egoica e l’identificazione regressiva con l’io-mio. (…) Ne concludiamo, per quanto riguarda una filosofia del tra e dell’esistenza, che l’animico è quella risorsa che insegna come, non solo fuori, ma già dentro i singoli esseri umani, operino forze che oltrepassano l’ego e aprono il soggetto impedendogli di coincidere passivamente con se stesso”.

Tornando alla soglia o meglio ancora al territorio di frontiera tra quanto è concettualizzabile e quanto non lo è (o in altri termini: tra la teoria e la prassi), Tagliagambe nota come, onde orientarci in tale spazio: “Il simbolo è l’unico strumento di cui possiamo servirci per intraprendere questo viaggio, proprio perché, è qualcosa che, racchiudendo un significato dentro di sé, ne rivela bensì la presenza, ma nasconde al contempo la sua natura, e ha par questo la capacità di ‘porre insieme’, di mantenere uniti (componere), di far coesistere, pur senza farli convergere in una sintesi, gli opposti che il pensiero razionale dirimente mantiene legittimamente separati”.

Il simbolo dunque, in quest’ottica, non è antitetico rispetto al concetto, ma paradossalmente si rivela essere lo stesso concetto, il quale ‒ avendo raggiunto la comprensione del proprio limite conoscitivo ‒ si rende disponibile a quanto Tagliagambe chiama: l’apertura nei confronti del suo: “al di là”. In sintesi, quello dei due autori è un invito ad esistere pienamente ma eccentricamente ovvero ad ex-sistere; letteralmente: a porsi fuori rispetto a ogni tendenza alla cristallizzazione/stagnazione entro modalità esistenziali o schemi identitari rigidi e/o convenzionali. Come a dire: viviamo l’attualità essendo sempre inattuali, ben disposti verso il divenire e i mutamenti che esso produce/implica: occasioni ‒ se viste dalla prospettiva di una filosofia del tra ‒ per un incessante rinnovamento, che ci consenta di poter sempre gettare uno sguardo verso l’oltre/altro/altrove.

Paolo Bartolini, Silvano Tagliagambe

Per una filosofia del tra. Pensare l’esperienza umana sulla soglia,

Mimesis, 2020

pp. 161, euro 16,00

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