Lo Zibaldone
I territori dell’umano
Non è un vero e proprio conte philosophique ‒ un romanzo filosofico ‒, né un saggio declinato in forma narrativa l’ultimo libro di Franco Rella, bensì un testo che definirei felicemente ibrido; non volendo l’autore costringerlo in questa o quella gabbia tassonomica, senza optare/decidere perciò se farne un’opera saggistica o solo letteraria. Ma è questo l’aspetto interessante di tale scritto/scrittura, libero/a di spaziare dalla riflessione al racconto, dai sia pur scarni riferimenti biografici all’invenzione oniricheggiante, dalle mille citazioni dei libri più amati/frequentati alla cronaca della triste quotidianità esistenziale d’un tempo ‒ il nostro, oggi ‒ segnato dal coronavirus.
L’incipit del testo è all’insegna d’un isolamento che è motivo di introspezione e al contempo di (teorica) estroversione. Un uomo anziano, dietro il quale è facile intravvedere lo stesso Rella, sta alla finestra: soglia trasparente/indifferente tra il mondo interno ed esterno. Flaneur fisicamente immobile ma mentalmente dinamicissimo, il vecchio (così viene pure chiamato) pensa, parla a se stesso, rimembra: ricordi letterari soprattutto, e al contempo tenta di dire/precisare ai suoi ipotetici lettori le varie modalità del narrare. Soprattutto sottolinea la fatale impossibilità, nella comunicazione discorsiva, di evadere dalla parola (sia essa mythos o logos), dal linguaggio; anche tacendo. Perché comunque – o per fortuna – le parole rimangono, ben oltre chi le dice/tace, le scrive/cancella o le interpreta.
“Raccontare una storia, ecco quello che vorresti fare”, confessa a se stesso l’autore, però forse ciò non è del tutto vero se egli ammette che: “Stai sulle soglie di una storia e non riesci ad entrarci”. Piuttosto il suo sembra un tentativo di: “delineare i territori dell’umano, il destino dell’umano”, che è poi quello che ha cercato di fare Rella in tutti quanti i suoi libri. Ovvio che le mappe di tali territori siano costituiti per il Nostro dai testi e dagli autori a lui maggiormente cari, fare una lista dei quali mi è praticamente impossibile nel breve spazio di questa recensione: basti dire che sono davvero innumerevoli. Accennerò solo a quello che mi sembra il più citato (o che a me risulta tale, senza mettermi a contare le volte in cui esso fa capolino tra le righe: esplicitamente o implicitamente): Kafka, colui il quale non a caso voleva che le proprie opere fossero date alle fiamme e la cui scrittura è sempre così algidamente ardente, così mortiferamente viva e vivace.
Non a caso è intorno alla morte, al dolore e all’umana finitudine che si incentra questo inventario di narrazioni, citazioni e pensieri: “questa specie di storia o di non-storia”. Un vero e proprio caleidoscopio letterario e filosofico che suggerisce tematiche da far tremar le vene e i polsi, come il tema del potere: quello politico, quello scientifico-tecnologico (che oggi più che mai impera) e quello della ratio, della logica, in quanto appunto imperio del logos: del dire concettuale, con la sua pretesa di poter giungere ad una oggettività/verità tanto supponente quanto alienante. Mentre Rella ha da tempo condiviso con altri grandi autori novecenteschi: “l’abbandono della forma argomentativa del pensiero a favore del frammento, del saggio, che non termina e non chiude mai, ma torna continuamente su sé stesso”.
Tutto il contrario della malattia filosofica occidentale, la quale ha nome metafisica, e che Rella chiama metaforicamente la “stiratrice”, giacché appiattisce la realtà uniformando la: “straordinaria dimensione plurale che è propria dell’uomo” mediante rigide formule dogmatiche. Alla disperata e disperante ricerca di certezze, di un terreno solido cui innalzare le proprie costruzioni teoriche. Ma il mondo che abitiamo non conosce un tale terreno, un tale Grund, ma solo un Abgrund (per dirla con Nietzsche e con Heidegger): un abisso profondo e mai del tutto sondabile/dominabile.
Così la mancata stesura della non-storia di Franco Rella ‒ nota condivisibilmente l’autore parlando a sé stesso ‒: “potrebbe essere il modo in cui ti sottrai al potere, all’idea di poter organizzare i pensieri, le immagini, le cose, il mondo nella fitta rete di una storia”. Invito a trattenersi nell’umiltà della parola, dunque, senza per questo sottovalutarne la pregnanza immaginifica, metaforica e poetica; in quanto la poesia riesce davvero a dire l’indicibile. Come in questi versi di Eschilo, che accennano forse all’unica vera fonte di umana sapienza, quella raggiungibile tramite la sofferenza: “[Zeus] avvia a saggezza il mortale / avendo fissato valida legge: / conoscenza attraverso il patire [ton pathei mathos]. / Anche nel sonno dinanzi al cuore goccia / l’affanno memore del dolore: / e pure a chi non voglia /giunge saggezza”.
Franco Rella
Narrare. Tentativi di inventario
Jaca Book, 2020,
pp. 179, euro 20,00
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