Cinema
Gian Maria Volontè: la sfida delle identità autonome
Nel prezioso e completo volume di Giovanni Savastano “Recito dunque sono” un ritratto completo dei mille volti d’artista a 25 anni dalla improvvisa morte.
Proprio come lo scultore che, al millimetro, si immerge nel pezzo di marmo per farsi materia e poi forma, così l’attore, attraverso una profonda esperienza emotiva interiore, si stacca dal suo “Io” trasformandosi in personaggio. Gian Maria Volontè, scultore della sua personalità artistica e attore fino al punto di continuare a recitare il ruolo anche nella vita privata, durante i giorni di ripresa di un film o di messa in scena in teatro, incarnava veramente entrambi. Tra l’immedesimazione autoriale e la sensibilità esistenziale, quello che all’unanimità molti considerano il nostro più completo interprete, era il ritratto di se stesso e, pirandellianamente di molti altri. Ecco perché, a 25 anni dalla sua fulminea dipartita (era sul set del film di Angelopoulos “Lo sguardo di Ulisse” quando si accasciò al suolo dopo una delle sue più drammatiche sfide attoriali, davanti ad un colpitissimo partner di ripresa come Harvey Keitel), era necessario partire dalla sua complessità e profondità più intima per ripercorrere sessant’anni di una carriera, familiare e professionale, assolutamente intensa. Ci ha pensato Giovanni Savastano nel maneggevole e calibrato saggio “Gian Maria Volonté. Recito dunque sono” (Edizioni Clichy) a riprendere i tratti più salienti di un percorso in salita che un uomo dalle forti ideologie e passioni, così come segnato da complicazioni e drammi personali, ha saputo tracciare attraverso contesti sociali permeati da grandi conflitti politici ma anche da stupefacenti conquiste personali. Volonté ha lavorato con i più grandi registi italiani nel momento della loro ascesa internazionale, sicuramente aiutata dalle sue capillari interpretazioni che gli hanno valso numerosissimi riconoscimenti, ed è stato camaleontico nell’adattarsi a differenti linguaggi artistici – teatro, cinema, televisione – nei quali il Sé fuoriusciva a servizio dell’autore. Ma è stato anche un padre affettuoso, un amante complice e un marito riservato, avversato forse in contesti sociali borghesi e dozzinali per la sua determinazione al rispetto dei valori umani: l’Uomo in pole position, secondo la cronistoria critica e ritmata di Savastano, che bypassa l’Attore proprio strumentalizzandone le varie possibilità. Un piccolo gioiello, questo saggio, che si struttura in una biografia ricca e ragionata, un’analisi critica e storica di concetto, una serie di brevi testimonianze dei suoi più cari “vicini” di cuore e di set – tra i vari, Carla e Giovanna Gravina, Giuliano Montaldo, Paola Petri, Gianni Amelio, Citto Maselli e Tullio Kezich – ma anche una cornice dedicata ai suoi pensieri più intimi attraverso le sue stesse parole, raccolte in frasi che ne edificano una vera e propria filosofia di vita sempre fedele a se stessa, oltre a una completa filmografia e lista dei riconoscimenti, una curiosa bibliografia monografica e, chicca finale, una sintesi dei progetti mai realizzati.
Un libro adatto a chi c’era e ne respirava il tratto talentuoso, ma anche a chi non lo ha mai conosciuto o a chi vuole riscoprire l’effige di quello che può non a torto essere definito un Michelangelo della Settima Arte, dalla parte dell’opera ritratta o scolpita, come pure dalla parte di chi l’ha elaborata intellettivamente col suo brillante e contorto genio narrativo.
Giovanni Savastano
Recito, dunque sono
Edizioni Clichy, 2018
pp. 157, Euro 7,90
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