Editoriale
Editoriale maggio 2017. È’ la stampa, bellezza
DI GIUSEPPE MARCHETTI TRICAMO
È la stampa, bellezza. Frase abusata, che prendo in prestito in parte dal titolo dell’omonimo saggio di Giorgio Bocca (Feltrinelli, 2008) in cui il grande giornalista, autore di numerose inchieste sulla società italiana, con la tutta l’autorevolezza della sua sessantennale carriera volle invitare i suoi colleghi a riflettere sulla loro crisi di professionalità, di etica e di motivazioni ideali e l’intero comparto dell’informazione a interrogarsi sul grave malessere della carta stampata, che già appariva schiacciata dallo strapotere della comunicazione televisiva. Quella frase, Bocca a sua volta l’aveva mutuata da una battuta pronunciata da Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia (Deadline, 1952), quando, nei panni del direttore di un giornale, Ed Hutcheson, alle insistenti pressioni di un boss risponde avviando la stampa dell’edizione che pubblica l’inchiesta sul malaffare che quello gli ha chiesto di mettere a tacere. Poi, affinché non ci siano dubbi sulla sua irremovibilità, allunga la cornetta del telefono verso la rotativa, già inequivocabilmente in moto, e dice al boss: “È la stampa, bellezza, la stampa! E tu non puoi farci niente! Niente!” La sua etica professionale e il suo fervore morale non gli avevano consentito di cedere alle intimidazioni. E io utilizzo l’indimenticabile storica battuta per festeggiare, ancora oggi, la pagina stampata, caposaldo dell’editoria di quotidiani, di periodici e di libri. Perché, diciamolo subito, coloro che ritengono che i prodotti stampati siano oggetti praticamente estinti ne fanno una valutazione eccessivamente frettolosa. Se mi chiedete da quale parte sto in questa competizione tra supporti digitali e versioni cartacee, rispondo che parteggio per il contenuto, che fa la differenza tra un buon libro e uno cattivo. Certo, il digitale favorisce l’accesso alla pubblicazione degli scrittori sconosciuti ed emergenti e dei piccoli editori, che possono misurarsi con il mercato producendo e commercializzando testi in forma elettronica. Mentre per quanto riguarda i lettori, in molti apprezzano i libri di carta, con cui hanno un rapporto esclusivo, e tutti assicurano che leggere rende persone migliori, incentiva l’empatia e la tolleranza e accentua la capacità di comunicare e di farsi capire. E, con i tempi che corrono, quest’ultima non è cosa da sottovalutare.
Si arriverà all’Armageddon, allo scontro finale tra il digitale e il cartaceo? Probabilmente no. Le due forme di editoria tenderanno a integrarsi e a non osteggiarsi. Magari insieme faranno il miracolo di incrementare la percentuale dei lettori, che in Italia, dice l’Aie, è tornata a crescere, anche se, con il 42 per cento (che include anche coloro che hanno letto un solo libro in un anno!) resta lontana dai livelli del 2010 (46,6 per cento). Ma gli editori dell’Aie, come è emerso a Milano nel corso di “Tempo di libri”, considerano quel 58 per cento di italiani che non legge una risorsa. Io aggiungo che è un buon terreno da arare e rendere fertile.
Per i quotidiani, che nell’informazione mantengono un ruolo centrale, la lettura complessiva tra carta e digitale è abbastanza stabile con un interscambio di fruitori, ma è indubbio che coloro che vogliono approfondire un lungo testo di commento prediligono la versione stampata, che garantisce una migliore comprensione e un’ottima memorizzazione.
Intanto, non può che far piacere constatare come la passione per l’editoria di carta in Usa sia ancora molto diffusa: la crescita del digitale si è fermata e nella Silicon Valley è sbocciata una storia d’amore per la stampa, tanto che Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, uno dei potenti re di internet, ha acquistato il Washington Post, il giornale del Watergate che, nel 1974, costrinse Richard Nixon a dimettersi da presidente Usa. È la conferma che Bezos intende svolgere un ruolo di primo piano nell’editoria allargando i propri interessi ai giornali e ai libri e impegnandosi in prima persona in una reinvenzione dell’industria dei media. L’editoria ha l’urgente necessità di un nuovo modello economico che la adegui alla realtà digitale e la renda redditizia. Dopo una fuga online è tornato in edicola il magazine Newsweek, perché la carta ha indubbiamente ancora i suoi vantaggi: secondo Scientific American il cervello preferisce la carta perché la pagina è come un paesaggio che l’occhio percorre e la mente memorizza topograficamente: ricordando dove è collocata la frase o la citazione letta (a destra, a sinistra, in basso) tratteniamo l’informazione. Sembra strano che queste affermazioni arrivino dalla patria dell’e-book, dove un americano su tre possiede un tablet o un e-reader. Ma proprio lì, negli Usa, dopo “l’indigestione di tecnico-lettura, sono in corso gli aggiustamenti necessari e le cautele di chi è andato troppo avanti” (lo dice Paolo Ferri, docente dell’Università di Milano-Bicocca).
Convinto che la carta non ha esaurito la sua funzione, inizio l’annuale giro per le pile di libri in bella vista negli stand degli editori del “Salone del libro” di Torino, dove essere all’antica è un privilegio. Il futuro del libro è il libro, quello di carta. E soltanto lui potrà sedurmi con le sue storie e celare per restituirmeli i miei segnalibri carichi di ricordi. E poi, immaginate un po’ un Salone soltanto con libri digitali: quanto sarebbe triste il Lingotto!
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