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Lo Zibaldone - Recensioni

Un nuovo modo di concepire Dio

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di Francesco Roat

 

Lo dice senza mezzi termini ‒ con una frase tanto concisa quanto precisa ‒ il filosofo francese François Jullien all’interno di un suo saggio recentemente tradotto in italiano: “In una generazione, la nostra, l’idea di Dio, per lo meno quella del Dio cristiano, ha subito il peggior destino immaginabile: senza alcun rumore, è caduta nell’indifferenza”. Egli si riferisce all’Europa, ma anche altrove il Dio biblico, se non è morto ‒ come a suo tempo aveva già affermato Nietzsche ‒, è finito nel dimenticatoio. Possibile che un patrimonio culturale bimillenario che ha informato di sé la storia del vecchio continente (e non solo) non susciti più alcun interesse per la maggioranza di noi e sia considerato inattuale e irrecuperabile?

Ebbene, per poterlo riutilizzare, forse la domanda da farsi è un’altra, ed è quella che Jullien si/ci pone; cioè: se il cristianesimo è morto, almeno per quanto riguarda il suo aspetto dogmatico, come mantenere coinvolgente/accogliente l’idea di Dio, ovvero che genere di proposta può oggi offrire una simile ipotesi? A suo avviso, in primo luogo si tratta di abbandonare le classiche definizioni/concezioni tradizionali religiose, iniziando a considerare Dio quale assoluta e paradossale de-coincidenza.  Vale a dire coglierlo tramite: “un’affermazione”, spiega l’autore, “che tenta di tutelare l’idea cristiana di «Dio» da ogni riduzione teologica (il dogma) e soprattutto ideo-logica (il suo idealismo, ma le due cose si richiamano l’una con l’altra)”.

Non si tratta appena della presa d’atto di come sia impossibile conferire a Dio qualsiasi predicato che pur lo limiterebbe o contraddirebbe ‒ restando in linea con la vecchia opzione dell’apofatismo ‒, bensì di ri-pensare il divino: “de-coincidendo da qualsiasi significato che abbiamo incominciato a proporre”; in altre parole: per mezzo di una sorta di abissale vertigine del pensiero. Perfino il verbo sostantivato per antonomasia: l’Essere, attribuito a Dio o con il quale si è cercato di rappresentarlo al meglio, non andrebbe più utilizzato. Infatti solo se Dio viene inteso come de-coincidenza, sostiene sempre Jullien, tale vocabolo metaforico può tornare ad indicare davvero l’evangelico vivente o colui il quale fa vivere (zoopoioun).

Pure Gesù Cristo, in quest’ottica, esprime la massima de-coincidenza immaginabile attraverso la sua morte in croce, patita appunto dalla seconda persona trinitaria: il Figlio di Dio, colui che dovrebbe essere immortale e tuttavia muore. Ma la sua è una fine che prospetta un nuovo, inedito inizio: la resurrezione. Altro vocabolo de-coincidente che allude ad una in-dicibile nuova vita o vita altra che dir si voglia. Così, commentando Gv 12,25 («Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna»), Jullien osserva provocatoriamente: “Dobbiamo liberarci della nostra adesione al vitale, per aprire in noi la possibilità di una vita veramente vivente, che non si limiti più a se stessa e la cui capacità di slancio non debba più inaridirsi”.

Come a dire: de-coincido dalla modalità esistenziale fino ad ora condotta, che finisce per restringerla e reificarla, per aprirmi ad una vita sovrabbondante, davvero altra e vivace. Perciò ‒ come già il nostro filosofo francese aveva scritto in un saggio precedente ‒ Risorse del cristianesimo, edito da Ponte alle Grazie ‒ l’uomo deve rinascere spiritualmente morendo prima a se stesso (all’egoità e ad ogni tipo di attaccamento). Ecco l’inaudito del messaggio di Gesù, a cui l’evangelista Giovanni invita a credere: non per dabbenaggine ma per fiducia. Fiducia nella possibilità che l’uomo divenga ex-sistente, cioè si tenga fuori dal mondo pur rimanendo in esso, o forse meglio: ecceda la misura del mondo, la sua consuetudine. Ma ciò, che vuol dire in pratica? Rigettarlo/rifuggirlo è un modo di porsi rinunciatario, moralisticheggiante e alla fin fine sterile; quindi si tratta di abitarlo o meglio ri-abitarlo cogliendo il soggetto come risorsa volta a modificare il mondo, a de-coincidere con esso.

Significa altresì che ogni io riconosca ogni tu, evadere dalla prigione narcisistica per aprirsi all’altro ed amarlo tramite un amore (agape) che non è né possessività né mero altruismo, ma forza espansiva/oblativa che si effonde senza limiti verso tutti.

François Jullien, Dio è de-coincidenza, Morcelliana, pp. 95, euro 10,00

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