Poesia
Quando l’aria aveva paura di Nureyev
Che l’amore sia un “dovuto” atto civico e politico è una realtà che viene rivelata proprio nei codici comunicativi apparentemente più semplici che illudono che il senso della parola poetica sia tutto esplicito e manifestamente impigliato nell’ironia del quotidiano, proprio come accade leggendo Jacques Prévert o Wislawa Szymborska che, nella differenza dei loro contesti socio-storici, alla fine della lettura dei loro versi ci lasciano nel dilaniante dilemma che un’accurata auto-indagine antropologica incomba ferocemente su tutti. Ed è ciò che accade, leggendo la poesia di Viti, a coloro che “vivono in punta piedi”, in tutte le microsocietà che si formano e si deformano continuamente nell’arco dell’esistenza di un uomo, come la coppia unita (“Allora accetta pure/il mio volerti bene/senza trovare le parole,/sarà come una cerniera lampo/che non chiude nulla”); la coppia incerta e quella sfaldata che rivendicano il loro preciso ruolo esistenziale (“il fenomeno da baraccone che sono ora/è un dono per tutti”); i rapporti lavorativi in cui si guadagna sempre poco (“è troppo presto, sembrava dirmi/per capire, ognuno se li tenga stretti/i suoi peccati”); le relazioni insalubri tra emarginati ed emarginanti (“Voi siete questi, ci dice./Siete mostri ingombranti”); le amicizie in silenzio (“un cuore capace di frangere il vetro/e, a spirale, raggiungere l’uscita”), la paternità e la filialità (“ora, seduto su una panchina,/continuo ad aspettarti); la filialità che diventa paternità (“come se la vita/ti riservasse un’altra infanzia) nell’avvento di una malattia (“Nel nome del padre” e del figlio e di un “Dio terracqueo”) e come in moltissime altre coincidenze affettive ed emotive che si compiono in reticoli relazionali ma, a ben vedere, spiegano dinamiche che agiscono perpetuamente anche nel controverso rapporto con se stessi. E se talvolta la natura si miniaturizza per rendere la misura esatta dell’umanità (“quel lago che, per incanto,/diventerà sempre più piccolo/fino a quando/potrai tenerlo tutto in una mano”), attraverso ibridazioni linguistiche e flussi di coscienza in apodittico corsivo, sembra che per ogni capitolo l’autore evochi insiemi ben identificati e identificanti di storie e di domande poiché è proprio la responsabilità della giusta domanda alle molteplici narrazioni dell’inquietudine umana che ci consente di godere di tutta “l’aria che finalmente ritorna a posto”.
Quando l’aria aveva paura di Nureyev”
Piergiorgio Viti,
Terra d’ulivi Edizioni,2021
101pp, 13 euro.
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