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Poesia

Philippe Jaccottet, Quegli ultimi rumori

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di Augusto Ficele

I lettori italiani devono molto al poeta e critico letterario Fabio Pusterla, in quanto acuto traduttore della maggior parte delle opere in prosa e in poesia di Philippe Jaccottet, uno dei più notevoli poeti europei viventi. La silloge intitolata “Quegli ultimi rumori”, a cura di Ida Merello e Albino Crovetto, è intrisa di annotazioni, prose poetiche, parabole brevi, omaggi a poeti e scrittori come Leopardi, Kafka e Handke. Ciò che più attira del poeta svizzero è la sua aspirazione trascurata all’assoluto, pur rimanendo terreno, i suoi versi respirano una metafisica parziale, senza l’utilizzo del megafono teologico. Il motivo per il quale il lettore rimane così legato al suo timbro resta in parte oscuro: è come se quest’ultimo, pescato, volesse boccheggiare sul bordo di una nave, senza una fine, in perenne stato purgatoriale, unico modo per essere vicini alle cose del mondo. La condizione della vita non si materializza, s’intravedono le nuances, i formulari di un’esistenza, i contorni presenti assenti che mettono in secondo piano l’io lirico. Jaccottet aderisce al sistema poetico di Keats: “…perciò, teneri flauti, / continuate a suonare, non al sensuale orecchio, / ma suonate per lo spirito, suonate arie senza suono”. L’autore conquista un tipo di vaghezza, la depone sulla brace, scatena la sua forza nell’accettazione, il suo cedimento armonico non si priva del punto di osservazione prima o a lato della Storia. È un cartografo senza la brama di segnare le tappe in rosso: “Fogliame che si calma prima della notte creando spazio – quando tutti gli uccelli nascosti nel grande alloro cominciano infine a tacere. Intanto il cielo è sbiancato, ha quasi perso colore, tranne vicino alla terra dove è ancora un po’ rosa; e non è più cielo, è l’assenza di ogni ostacolo, di ogni peso, tutt’al più soltanto aria e nemmeno più turbata dalle ultime nubi in movimento – mentre la montagna lontana diventa a sua volta nube, ma sospesa, immobile. E che cos’è la stella che scintilla improvvisa al tramonto? Un gioiello d’aria per l’orecchio, il collo, un polso nascosto? Un segno che ci viene incontro dal fondo cupo del tempo? Una brace sopravvissuta a un fuoco immemoriale? Non copriamola con una nebbia di parole, fossero anche le più chiare che vengono in mente! Cancelliamole piuttosto, e senza aspettare. Che rimanga soltanto un’ape mentre guida lo sciame di sorelle”.

Philippe Jaccottet,

Quegli ultimi rumori

pp. 112, euro 12,00

Crocetti Editore, 2021

 

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