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Perchè Bob Dylan

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di Giovanni Graziano Manca

Ci credereste? Da sempre Bob Dylan, nello scrivere le sue canzoni si fa influenzare non  solo dai cantanti folk e di protesta (Woody Guthrie in testa) oppure dai blues singers americani, ma fin dalle sue prime opere anche dai classici senza tempo della letteratura latina e greca. Lo sostiene convintamente l’autore di questo interessante saggio, Richard F. Thomas, docente australiano ed esperto dylaniano che negli Stati  Uniti insegna nella facoltà di Lettere classiche dell’università di Harvard. Con questo libro, Thomas cerca di introdurre elementi di chiarezza sui testi dylaniani, che sappiamo spesso essere ostici, non suscettibili di essere univocamente interpretabili, non di rado poco meno che incomprensibili ai più. Nelle sue canzoni Dylan affronta tematiche intime, sociali, religiose e via dicendo, servendosi di un linguaggio originale, innovativo, denso di riferimenti anche colti che di volta in volta arricchiscono canzoni ormai diventate classici del repertorio popolare statunitense. Canzoni d’amore, canzoni protestatarie, canzoni ermetiche e/o intimistiche, di ringraziamento al Signore, canzoni di non poco spessore civile: con modalità espressive che rappresentano e dimostrano il suo genio di songwriter, l’artista americano crea qualcosa di nuovo: nel 1970 l’università di Princeton gli conferisce la laurea honoris causa in musica. In quell’occasione gli accademici motivano la loro decisione sostenendo che “Anche se tutti sanno che non gradisce la notorietà e le situazioni pubbliche e sebbene si stia avvicinando alla pericolosa età dei 30 anni, Bob Dylan rimane l’autentica espressione della turbata e impegnata coscienza della giovane America”. Nel 2016 il premio Nobel, “Per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. D’altra parte è noto come Dylan abbia sempre dimostrato di possedere un talento letterario unico che va oltre la scrittura delle sue canzoni. Ne danno prova “Chronicles. Volume 1”, libro uscito nel 2004 presentato come autobiografia ma che autobiografia non era, non almeno nel significato più tradizionale della parola, e l’ultimo dei suoi sforzi letterari, “Filosofia della canzone moderna”, uscito agli inizi del Novembre scorso. Ma torniamo ai contenuti del libro in esame. Thomas rileva tra l’altro come Dylan, fin dalla fine degli anni Cinquanta quando ancora frequenta le scuole a Hibbing, mostri interesse nei confronti del latino e degli antichi romani (apprendiamo che il giovane Bob è persino iscritto ad un club di latino attivo all’interno dell’istituto). “Perché Bob Dylan”, scrive il professore di Harvard, “tratta anche di come il genio di Dylan sia stato per lungo tempo informato dall’antica Grecia e dall’antica Roma, e del motivo per cui i classici di quelle epoche restano pertinenti per lui e per tutti noi che ci interessiamo alle scienze umanistiche.” Ipotesi del tutto plausibile, quella di Thomas, se è vero che Dylan, anche in diverse delle sue più recenti songs inserisce riferimenti ad antiche civiltà. In “Early Roman Kings”, una delle canzoni di “Tempest”, Dylan per esempio canta: “Tutti i primi re Romani/Alle prime ore del mattino/Stanno scendendo dal monte/Distribuendo il grano/Veloci attraverso la foresta/Corrono lungo la pista/Tu tenti di scappare/Loro ti trascinano indietro/Domani è venerdì/Vedremo cosa ci porterà/Tutti stanno parlando/Dei primi re Romani”. Molti ricorderanno come molti anni orsono, nella splendida “When I paint my masterpiece” Dylan cantasse: “Oh, le ore che ho trascorso nel Colosseo/scansando leoni e sprecando tempo./Oh, quei potenti re della giungla, era dura per me/sostenerne la vista/Già, è stato certamente un duro e lungo arrampicarsi./Ruote di treno corrono nei miei ricordi del passato/quando correvo sulla cima della collina/seguendo uno stormo di oche selvatiche/Un giorno tutto sarà calmo come una rapsodia/quando dipingerò il mio capolavoro”. Conclude l’autore di questo interessante e approfondito studio, la cui lente di ingrandimento  e capacità di analisi si soffermano non solo sulle canzoni ma anche sugli scritti dylaniani in prosa, che “Dylan, maestro supremo della lingua inglese della mia epoca” risale fino a Omero, Virgilio e Ovidio per scovare il materiale delle sue opere, tramutandolo in qualcosa che vale, qui e ora. Gli estimatori del cantautore di Duluth troveranno il libro di Thomas davvero meritevole di essere letto.

Richard F. Thomas – “Perché Bob Dylan” – 298 pagg., 20 euro – Edizioni EDT, Torino 2021.

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