Poesia
Per segni accesi
E’ dalla impercettibilità del minimum esistenziale che prende forma l’assenza di assoluto, la sola dimensionalità etica e percettiva capace di rendere all’uomo -e alla sua natura- la potenzialità di espansione (“un tendere misterioso del seme/verso un cielo che approva che chiama/il piccolo corpo a muoversi sul ventre”). Dalla “notte arcaica” Ferramosca coglie la traiettoria d’intarsi di vie, viatici, incroci, distorsioni e ritorsioni dell’umano in costante dialogo con la microbiologia (“molecole delusetristi”) del suo essere divino e, contemporaneamente, del divino che bonariamente acconsente alla sacralità dell’umano (“chiedo al mio dio che ripido/atterra sui fuochi/che non mi rubi/il ritorno ancora e ancora/al punto di partenza”). L’operazione poetica dell’autrice, audace nel barcamenarsi tra intuizioni filosofiche e vocazioni emozionali attraverso una semantica di rinuncia volontaria al rigore e alla tenuta logica (per consentire un accesso immediato alla “nebbialuce/solo costeggiare il tuo centro segreto”), è volta all’analisi confondente e necessaria di “questa lenta morte a ritroso/questa risorgenza” domandata in dono a se stessa e all’ “animale universale” che molte lingue parla nell’imponderabile “ora di prossimità” reciproca. Che si parta dalle megalomanie della natura (“dialogare con l’oceano/o con l’oltreorizzonte”) o dai “minimi sistemi” che illudono alla piccolezza, che si guardi al mito psicoanalitico (“ritornare là nello spazio bianco/dove il primo flauto era nato/e cantava/già prima di nascere”) o all’antropologia ironica della digitalità (“dopo il grande sisma il grande/regolatore quando/il dio economico sarà crollato/caduto in pezzi pure il dio robotico”), il metro perpetuo, arduo e timidamente infallibile sarà quella poesia che “viene dai minimi/dai folli o dai vaganti/di certo non dai salvi o dai seduti”) per riconsegnare al petto vivente e battente il suo diritto alla “tregua dal disumano”. La riflessione civica, immancabile anello di congiunzione dell’etica introspettiva all’estetica dell’esistere, si svolge per il tramite dell’immagine magmatica e amniotica di un “mare assurdo” che può essere riparo o sterminio, in cui “bambini scalzi/ancora pescano l’azzurro con/ami di pane”. Ecco che emerge il sembiante archetipico dell’infanzia che cauterizza le facezie dell’evoluzione nella possibilità di “allontanare il buio”: i bambini, mentre giocano “al poeta e attraversano i miti”, non si accorgono più dell’ombra, ispirando gli adulti che li osservano, ancora capaci di stupirsi. L’amore affiora innocente e dolente come un appuntamento ciclico istintivo (“sempre lo inseguo lo raggiungo lo blocco/sempre lo trovo senza passaporto”) che sincretizza malinconia e fiducia, umanità e animalità (come se non fossero la stessa cosa) e conduce alla confidenza di svelarsi, tra esseri viventi, “la password del vero/per abitare il mondo”. Esiste un germoglio di nuova umanizzazione che lascia profondi “segni accesi” lungo tutte le terre della carne.
Annamaria Ferramosca
Per segni accesi
Giuliano Ladolfi Editore,2021
98 pp, 12 euro
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