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Lo Zibaldone

Oltre l’invisibile

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di Francesco Roat

Federico Faggin, fisico di fama internazionale, non solo è stato l’inventore del primo microprocessore, ma da molti anni si occupa di analizzare in modo scientifico quei fenomeni peculiarissimi che sono costituiti dalla coscienza e dall’autocoscienza. La spinta ad impegnarsi in tale indagine viene da lontano; da un’esperienza straordinaria accadutagli nel lontano 1990, destinata letteralmente a cambiargli la vita. Ecco come egli la descrive nel suo ultimo libro, intitolato Oltre l’invisibile.

“Mi svegliai verso mezzanotte perché avevo sete. Tornato a letto, mentre mi accingevo a addormentarmi, di punto in bianco sentii un fascio di energia potente sgorgare con forza dal mio petto. Era una luce bianca, scintillante, fatta di amore, gioia e pace (…).  Quel giorno sperimentai me stesso come il mondo che osserva se stesso con il mio punto di vista. Ero sia l’osservatore sia l’osservato. Non ero più un corpo separato dal mondo, come avevo sempre pensato. Ero invece un punto di vista del Tutto con cui il Tutto può conoscere se stesso. L’essenza della realtà mi si rivelò come un’energia che conosce se stessa nella sua autoriflessione, e il suo autoconoscersi ha il sapore di un amore irreprimibile e dinamico”.

Da allora Faggin prende giusto a interrogarsi sulla natura della coscienza in modo nuovo, rigettando il dettato materialistico secondo il quale essa è prodotta dal cervello, bensì iniziando a ritenerla un mezzo/modo grazie al quale ciò che indichiamo come l’universo, o il Tutto o l’Uno ‒ così esso viene chiamato da Faggin ‒, conosce se stesso. Quindi, con gradualità egli giunge a formulare l’ipotesi: “che la coscienza e il libero arbitrio devono essere proprietà fondamentali della natura, che vanno oltre le proprietà della materia descritte sia dalla fisica classica sia da quella quantistica”.

Secondo questa nuova teoria, infatti, la coscienza in un certo qual senso viene prima del cervello e dei suoi neuroni ed è presente “in una realtà più vasta che contiene lo spazio-tempo e la materia-energia”. Convinto che dalla non-coscienza non possa nascere la coscienza, che, secondo Faggin ‒ per quanto ho inteso ‒ esiste da sempre, egli prende le mosse a partire da un nuovo postulato, il quale afferma l’esistenza di un Tutto che mira costantemente a conoscersi avendo la possibilità di farlo. Non che la coscienza esista di per sé, quasi fosse una sorta di ente. Essa, in quest’ottica, è piuttosto una caratteristica o proprietà appartenente “a enti coscienti irriducibili”, detti da Faggin unità di coscienza – UC, ovvero seyti (individualità autocoscienti).

Si può dunque asserire ‒ secondo il nostro fisico in odore di metafisica ‒ che la realtà del Tutto/Uno sia organizzata in modo olografico, in quanto ogni sua benché minuscola parte contiene il potenziale dell’intero universo; anche se ogni unità di coscienza risulta ben distinguibile sia dal Tutto che dalle altre diverse parti che lo compongono. Inoltre, sempre a detta di Faggin: “In analogia con la fisica quantistica, dal Campo Unificato (Uno) emergono i campi delle UC, simili ai campi delle particelle elementari. Le UC si combinano tra loro in seity, analogamente alle particelle elementari che si combinano per formare i nucleoni, gli atomi, le molecole, le macromolecole, le cellule viventi, e così via”.

Anche le nostre cellule quindi avrebbero una coscienza di cui non siamo consapevoli; per cui l’autore giunge a dichiarare che non tanto la coscienza appartiene ad un corpo, quanto semmai è questo ad appartenere ad una coscienza. Esso, perciò, “«condivide» la coscienza del campo di cui è un simbolo”. E, conseguenza ancora più strabiliante, quando il nostro corpo morirà: “ci accorgeremo di far parte di una coscienza più vasta”. O, mi permetto di aggiungere, di una realtà più vasta di quella descritta sino ad ora dalla scienza e da una razionalità miope che non vede altro o oltre i meri dati fisico-fenomenici. Pertanto si tratta di rendersi conto di come esista un assai vasto invisibile che dovremmo imparare a vedere attraverso l’immaginazione, l’intuizione e la contemplazione; nella consapevolezza che la vita e ciò che esiste rimangono pur sempre un grande (e bel) mistero.

Concluderei ridando la parola a Faggin, il quale, verso la fine del suo ultimo libro risponde affermativamente rispetto alla domanda se le sue teorie possano essere compatibili con gli insegnamenti delle tradizioni spirituali. Eccone la replica: “Sì, c’è molto in comune con gli insegnamenti delle grandi tradizioni spirituali e filosofiche, a partire dai Veda. Già tremilacinquecento anni fa i Veda parlavano di unità, di un Uno che è tutto ciò che esiste, che è consapevole e conosce se stesso attraverso la materia che crea e che fa da specchio alla propria conoscenza. Le idee di Plotino e di Meister Eckhart sono altrettanto profonde e simili. Faccio notare che, mentre c’è disaccordo in quasi tutti i campi del sapere, c’è un fortissimo allineamento da parte delle persone che, nel corso dei secoli, hanno avuto forti esperienze spirituali”.

Federico Faggin, Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono, Mondadori, 2024, pp. 305, euro 22,00

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