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Le storie dolorosamente vere di Alessandro Morbidelli

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In un fin troppo affollato panorama di noir, thriller o gialli, tra commissari, marescialli e detective è difficile districarsi, ma quando in questo marasma di crimini e detection si affaccia una voce originale vale la pena non farsela sfuggire. È il caso di Alessandro Morbidelli, che si è fatto conoscere con Storia nera di un naso rosso per la piccola e raffinata casa editrice Todaro, divenuto un cult, mentre ora lo ritroviamo con la gloriosa e rampante (per la spinta propulsiva della proprietà di Manlio Maggioli) Vallecchi Firenze per il suo nuovo romanzo “nerissimo” I figli dei chiodi, ambientato nella Puglia garganica. Scrittura raffinata, con spunti indubitabilmente letterari, e capacità speleologiche dell’animo umano immutate. Anzi, se possibile, potenziate. Lo scrittore marchigiano, incallito cinofilo, tanto da scrivere il racconto lungo Trenta cani e un bastardo, ha risposto ad alcune nostre domande, partendo da una rivelazione per quanto riguarda il suo ultimo romanzo: <<È stata colpa dell’amico Carlo Lucarelli. Ricordo ancora l’episodio di Lucarelli racconta, recuperato poco prima che iniziassi a scrivere il romanzo. Un approfondimento sulla cosiddetta “quarta mafia”, la Sacra Corona Unita. In questa occasione conobbi per la prima volta la vicenda di Palmina Martinelli, la giovane ragazza di Fasano che venne bruciata viva perché si opponeva al destino che avevano scelto per lei, quello della prostituta bambina. Il romanzo è dedicato a lei e a tutti i bambini vittime della bestialità adulta>> afferma Morbidelli.

Dei cinque protagonisti è riuscito a scrivere senza parteggiare per nessuno?

Ognuno dei bambini protagonisti rappresenta una complessità e parte di una completezza. Sono innocenti, e da tali li tratto. Però Mina è quella che dà la voce un po’ a tutti, e a lei offro un tributo diverso di parole e di emozioni.

Ha impiegato 4 anni per concludere la storia. Quali sono state le difficoltà?

Nessuna difficoltà, solo non mi sono fatto prendere dalla fretta. Ho voluto studiare certe dinamiche, soprattutto legate alla ritualità e all’affiliazione mafiosa proprie di certi territori rurali pugliesi alla fine degli anni Ottanta. Ho passato del tempo per le viuzze e le campagne del Gargano. Ho studiato la solitudine di Milano camminando per le strade e chiudendomi negli alberghi. Ma soprattutto ho pensato molto a ogni singola frase, prima di restituirla sulla pagina.

Romanzi come i suoi lascerebbero pensare che l’autore abbia una certa dimestichezza con il proprio lato oscuro.  

Penso che ognuno abbia un suo lato oscuro. Averne dimestichezza magari significa avere la capacità di guardarsi dentro senza girarsi mai dall’altra parte quando lo si incontra.

Come fa a convivere con questo lato di sé?

Sono pignolo e severo, i miei studenti dell’Accademia possono confermare. Quindi sono pignolo e severo anche con me stesso. Probabilmente il mio lato oscuro, per questo motivo, soffre un po’ di ansia da prestazione, la domanda andrebbe fatta a lui.

Come Stephen King anche lei ha violente fobie e paure?

Vivo nell’opprimente terrore che in casa termini la carta igienica, per questo ne faccio sempre scorte monumentali. Poi che i miei cani ingeriscano forasacchi. Infine che le persone cui voglio bene soffrano.

Scrivere storie violente serve a esorcizzare le proprie pulsioni violente?

Non lo so, non credo di scrivere storie violente, né di avere pulsioni di questo tipo. Le mie storie parlano della realtà, della debolezza umana, che spesso si traduce in violenza. Non mi sono mai piaciute certe pruriginose attenzioni al dettaglio, morbose, anche un po’ schifose. Quello che mi interessa è il dramma della violenza, non l’autopsia in diretta dei suoi effetti.

Da lettore come e dove indirizza i suoi interessi?

Sono un lettore fortunato perché ho amici lettori e spesso mi capita di partecipare a dibattiti, di ricevere suggerimenti. Le storie che mi appassionano sono quelle dove posso trovare la vita reale, dove non ci sia timore di parlare di sentimenti e di sbattere il muso contro la verità che non sia edulcorata. L’oggetto del mio interesse è l’umano sentire.

Con quale stato d’animo guarda allo stato dell’editoria italiana, anche alla luce del suo passaggio a Vallecchi?

Ho avuto la fortuna di lavorare, in passato, con un editore serio come Todaro per Storia nera di un naso rosso e l’ho avuta adesso con Vallecchi per I figli dei chiodi. La mia esperienza è fatta di persone che sanno quello che fanno, che ci mettono la passione e l’impegno. Soprattutto, sono professionisti che non hanno paura di proporre una storia senza indorare la pillola, che secondo me è invece una tendenza un po’ pericolosa, figlia di una necessità di sentirsi un po’ tranquillizzati che non mi appartiene.È innegabile che in Italia ci sia una sovrapproduzione di titoli. Chi legge, lo fa da tanto tempo e ha un certo rapporto con la parola, si rende conto subito se un libro è professionale o meno, e il giudizio che ne segue è tanto per il romanzo tanto per chi l’ha pubblicato.

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