Articoli
Le canzoni di Bob Dylan tra rock e letteratura
Poesia e rock. Un argomento intrigante e di grande impegno che mostra quanto lo sdoganamento di certa musica pop e l’inserimento di alcune delle sue componenti all’interno della cosiddetta “Cultura Ufficiale” siano del tutto giustificati ed anzi assolutamente opportuni. Non da oggi si parla della poesia di Jim Morrison, di Patty Smith, di Lou Reed e di Leonard Cohen (in Italia si parla tanto anche di quella di Fabrizio De Andrè e di Francesco De Gregori), tanto per citare i casi più emblematici. Alcuni commentatori, addirittura, sono talmente convinti del fatto che il rock e il pop fanno parte di una cultura “con la C maiuscola” che sostengono che il Nobel conferito a Bob Dylan Il 13 ottobre di due anni fa abbia solamente certificato una necessità di per se incontestabile ed evidentissima con molto ritardo. Bob Dylan, appunto. Uno dei primi a rendersi conto dello smisurato talento del cantautore americano fu Robert Shelton. Questi lo lanciò sul New York Times, dove scrisse che “Dylan ha rotto tutte le regole della canzone, ma ha qualcosa da dire e lo dice”. Il poeta beat Allen Ginsberg, dal canto suo, disse che “Scrive una poesia migliore di quella che scrivevo io alla sua età. E’ un genio menestrello dell’età spaziale piuttosto che un vecchio poeta da biblioteca”. E il rocker Bruce Springsteen: “Elvis Presley ha liberato il nostro corpo. Bob Dylan ci ha liberato la mente.” Francesco De Gregori, il più grande scrittore italiano di canzoni, oggi, che alle canzoni di Dylan ha dedicato uno dei suoi ultimi dischi (De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto, uscito nel 2015): “Il Nobel assegnato a Dylan non è solo un premio al più grande scrittore di canzoni di tutti i tempi, ma anche il riconoscimento definitivo del fatto che le canzoni fanno parte a pieno titolo della letteratura di oggi”. E’ con riferimento alle canzoni di Dylan che si è iniziato a discutere dei parallelismi esistenti tra la letteratura “ufficiale” e le parole impiegate come testi di canzoni rock. Nel 1969 riceve la laurea ad honorem in Scienza musicale dall’Università di Princeton per avere con le sue canzoni rappresentato “l’espressione autentica del turbamento delle giovani coscienze americane”. Canzoni di Dylan, la circostanza è nota, hanno trovato e trovano posto nei manuali scolastici. Il Nobel è arrivato a coronamento di una vicenda poetico – letteraria lunga una vita e certamente, a dire il vero, non proprio a sorpresa, perché il riconoscimento all’uomo di Duluth sembra fosse nell’aria da tempo. Il premio, sostiene la motivazione ufficiale, viene assegnato a Robert Zimmerman “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della canzone americana”. E’ vero che, dal punto di vista del valore letterario delle parole delle sue canzoni, Dylan è stato un elemento di rottura e di innovazione totale rispetto agli autori di canzoni che l’hanno preceduto, è vero che Dylan è stato e continua a essere, nonostante le apparenze abbiano sempre fatto pensare il contrario, un grande comunicatore che per giunta, non si sa bene quanto coscientemente, almeno all’inizio, è sempre riuscito a prendere i treni “giusti” al momento “giusto”, è vero anche che la poesia dylaniana si è fin dai suoi primi passi nutrita di suggestioni blakiane (poeticamente visionarie, le canzoni di Dylan contengono un messaggio di ribellione e di libertà schierandosi contro ogni tipo di limitazione e di repressione), di immagini bibliche, di simbolismi rimbaudiani, di poesia e letteratura beat. Andrea D’Anna, traduttore di “Tarantula”, commentando il libro di Dylan, pubblicato nel nostro Paese da Mondadori nel 1973, scrive: “L’ermetismo di ampie sezioni, come l’enigmatica ouverture, è tale da far pensare alle vecchie parole in libertà dei nostri futuristi, a una sorta di scrittura automatica o a un oltraggio dada alla letteratura.” Anticonformista fino all’estremo, se teniamo conto dei tempi in cui iniziò a scrivere (si rileggano le parole di “Consigli a Geraldine per il suo compleanno miscellaneo” splendido componimento poetico risalente alla prima metà degli anni Sessanta), sensibile tanto ai cambiamenti sociali che gli succedevano intorno (The Times They Are a-Changin’, Ballad of a thin man) quanto alle ingiustizie perpetrate a danno dei neri (The Lonesome Death of Hattie Carroll, Hurricane), Dylan da una parte ha saputo nelle sue canzoni contestare e denunciare le scelleratezze della politica americana mentre per altri aspetti è riuscito a far meravigliosamente emergere dal cumulo dei versi e dalle profondità del suo essere uomo e artista (anche quando ciò ha per lui significato dar conto del proprio più profondo sentire religioso) le diverse sfaccettature della sua complessa personalità. Robert Zimmerman si dice convinto che le canzoni non sono letteratura e che sono fatte per essere cantate, non lette. “Mai una volta ho avuto il tempo di chiedermi: “Le mie canzoni sono letteratura?” “, scrive nel ringraziare l’Accademia di Svezia “sia per aver voluto porsi la domanda sia per aver dato, infine, una così magnifica risposta.”
You must be logged in to post a comment Login