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Interviste

L’angelo di Monaco, anche i vinti trovano voce

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Intervista a Fabiano Massimi

di Carla Iannacone

 

La storia di Angela Maria Raubal, nipote prediletta di Adolf Hitler, deceduta in circostanze misteriose è il filo conduttore del romanzo edito da Longanesi L’angelo di Monaco (pp.496, €. 18,00) di Fabiano Massimi al suo esordio con il primo thriller storico. Un libro in grado di amalgamare bene realtà e finzione, la cui struttura stilistica ricorda altri due autori del genere, Sandrone Dazieri e Donato Carrisi. Del primo ritroviamo la suspence mentre del secondo il pericolo, la minaccia, il brivido, perché mai in nessun altro libro a sfondo storico si avvertono in maniera prepotente i presagi degli orribili crimini nazisti. È proprio di storia, di sentimenti, di orrori, abbiamo parlato con Massimi per meglio comprendere la storia di Geli, per restituirle un po’ di giustizia, ma per apprendere e conoscere anche altro della Storia e di ognuno di noi.

L’angelo di Monaco narra della scomparsa di Angela Maria Raubal, nota come Geli, avvenuta in circostanze oscure e archiviata come suicidio. A cosa si deve la scelta del titolo del romanzo?

Un titolo, diceva Umberto Eco, deve confondere le idee, non irreggimentarle, e questo vale a maggior ragione per un thriller, in cui il lettore trae piacere dall’aggirarsi per la trama in cerca di appigli, possibilmente senza mai trovarne. Scorrendo il testo in cerca della parola “angelo” si trovano diverse occorrenze, alcune ovvie (Angela è il nome della vittima) e alcune sorprendenti. Ma non è detto che l’angelo di Monaco sia un personaggio. Potrebbe anche essere un’oggetto o, chissà, uno spirito. Al lettore la libertà di decidere.

Ha affermato che il suo “primo incontro” con Geli è avvenuto casualmente con un romanzo di Robert Harris, Monaco. Nel suo libro – così come suppongo nell’ampia biografia attraverso cui si è documentato per scrivere il romanzo – la ventiduenne appare ora come una fanciulla viziata, ora ingenua, a volte vittima, a volte ammaliatrice… lei che idea si è fatto? Cosa l’ha colpita di più di questa fanciulla?

Geli Raubal è un enigma: una ragazza bella, affascinante, talentuosa che ebbe la singolare sventura di essere amata da Adolf Hitler e circondata dai più grandi criminali della Storia. Proprio loro l’hanno descritta e ricordata, restituendoci un’immagine assai contraddittoria: Goebbels la chiamava “la povera Geli”, Hanfstaengl la definiva una sgualdrina. Qual è la verità? Io un’idea me la sono fatta, e il romanzo nasce per raccontarla – per rendere giustizia a Geli, non un personaggio ma una persona.

Il romanzo è un testo che affascina e che suscita anche un sentimento di paura e di discostamento dal clima che incombe sulla Germania dopo la fine della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo. Con che spirito ha scritto quest’opera, quale è stata la maniera con cui si è approcciato?

Avevo molti documenti sul caso Raubal, e avevo la cronologia esatta degli eventi. Ma soprattutto, avevo un periodo storico unico, uno sfondo che presto si è imposto come terzo protagonista del romanzo, prendendo vita nei dialoghi tra i miei due commissari e gli abitanti della città, ognuno distratto da problemi diversi ma tutti invischiati in una temperie sociale e politica irripetibile – oppure no? Scrivendo non me ne rendevo conto, ma a quanto pare stavo anche descrivendo il nostro tempo incerto.

I luoghi e i personaggi sono descritti con dovizia di particolari: è stato in quei posti prima della stesura del libro?

Sì, certo: non potevo raccontare Monaco e Vienna basandomi sui resoconti altrui, sulle guide turistiche, su Internet. Esiste, nei luoghi, uno spirito che si può cogliere solo vivendoli, percorrendo le strade e sostando sulle panchine, entrando nei palazzi e sedendosi nei locali, osservando e ascoltando i passanti, inspirando l’atmosfera e assaggiando i cibi. Poi magari sulla pagina filtra un decimo di tutto ciò, ma per me visitare l’edificio in cui Geli morì il 18 settembre 1931 era necessario. Non avrei potuto scriverne, altrimenti. Mi sarei sentito un impostore.

La crudeltà e la manipolazione si combattono con la resistenza o con l’astuzia?

Con entrambe, ben dosate. Ma visto che spesso sono crudeltà e manipolazione a vincere nell’immediato, una terza arma si rende necessaria per sconfiggerle: la memoria. Si dice che la Storia venga scritta dai vincitori, ma non è così, come dimostra l’attualità di questo 2020 nemico delle statue: prima o poi anche i vinti trovano voce. La Storia la scrive chi sopravvive, e il Male, ricordiamolo, ha vita breve. Il Reich millenario di Adolf Hitler durò appena dodici anni.

Una domanda che può apparire provocatoria: chi ha acquistato L’angelo di Monaco lo ha fatto per scoprire qualcosa in più sulla fine di un’innocente o per morbosità?

Credo la prima, ma non escludo la seconda, e alla fine dei conti va bene anche così: a me importava rimettere in circolo la storia di Geli, e ogni mezzo era buono. Se ho scritto un thriller anziché un saggio è anche perché la Storia arriva meglio e più lontano se legata a una buona storia. Chi comprasse il libro per spiare i lati oscuri del nazismo non rimarrebbe deluso, anzi, ma si porterebbe a casa anche altro. Il bello dei libri è che puoi arricchirli senza fine.

Lei invece consiglierebbe di leggere L’angelo di Monaco perché…

Perché racconta una storia incredibile e un periodo cruciale basandosi fedelmente sui documenti, ma senza dimenticare che il tempo del lettore è poco e prezioso, e che divertire è il primo comandamento della narrativa.

 

Fabiano Massimi

L’angelo di Monaco

Longanesi, 2020

pp.496, Euro 18,00

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