Lo Zibaldone
La Montagna di Quentin
di Giovanni Graziano Manca
Il libro prende le mosse da alcune scene di uno dei più riusciti lungometraggi tarantiniani, quel “Bastardi senza gloria” del 2009 che porta l’attenzione dello spettatore verso scenari di guerra e di prevaricazione nazista nei confronti degli ebrei e delle popolazioni delle nazioni invase. Agostini dipana il suo filo narrativo attraverso un lungo viaggio, compiendo un percorso tormentato che ha a che vedere con le montagne in quanto terreno fertile del simbolico. La disamina di Agostini interseca “Fantasie virili”, libro di Klaus Theweleit che propone una particolare teoria del fascismo. I contenuti del saggio di Theweleit richiamano quelli del romanzo “Le benevole” di Jonathan Littel (libro che racconta la storia di Maximilien Aue, militare tedesco di padre ariano e madre francese, ufficiale delle SS; Aue ricopre ruoli di primaria importanza nella organizzazione dello sterminio degli ebrei) e l’opera del fascista belga Leon Degrelle. Sullo sfondo della densissima, serrata e ben documentata trattazione svolta da Agostini, la grande tragedia che percorre tutto il secolo XX che determina il disfacimento materiale e di senso del corpo umano. Essa, come il libro tende a dimostrare, scaturisce dai fantasmi interiori che albergano nell’animo del fascista. Su questo particolare tema, il cinema tedesco che comunemente viene definito “di montagna” fornisce chiavi di lettura. Tra le opere cinematografiche, “La tragedia di Pizzo Palù” (Die weiße Hölle vom Piz Palü), film del 1929, diretto da Arnold Fanck e Georg Wilhelm Pabst, che vide protagonista Leni Riefenstahl, costituisce preziosa testimonianza filmica muta che oltre al sublime delle riprese paesaggistiche offre un saggio delle interazioni uomo-montagna nel senso rilevato dall’autore. Oltre a ciò, il lungometraggio citato, summa dell’immaginario e dell’irrazionale che erano stati alla base del consenso di massa al nazionalsocialismo, incarna le categorie che rappresentano la particolare visione del mondo del fascista, in modo peculiare quelle del bianco-pulito, quella del duro e quella del verticale che si contrappongono rispettivamente a quella del nero-sporco, a quella della melma e a quella dell’orizzontale, della pavidita’. Arnold Fanck, Luis Trenker, Leni Riefenstahl figurano tra gli sceneggiatori, registi, scrittori e attori che intendono la montagna come un luogo di combattimenti esteriori e interiori. “Nutritosi nel corso degli anni di un immaginario, anche montano, con il quale aveva invasato milioni di persone, il nazismo può essere sconfitto solo contrapponendogli un immaginario uguale e contrario.”, scrive Agostini. E ancora: “Era una battaglia della quale avrebbero dovuto farsi carico gli artisti e coloro che sempre contribuiscono a strutturare l’immaginario e il fantastico delle epoche. Ma gran parte degli artisti era venuta meno ai suoi doveri. Alcuni di essi come Fanck, come Riefenstahl, come Trenker, con il nazismo avevano avuto anche molto a che fare; e qui non interessa sapere quanto consapevolmente, nemmeno se in cambio di qualcosa, e di cosa. […]”
Di Leni Riefenstahl regista (suo “Il trionfo della volontà”, autentico capolavoro di arte cinematografica, film del 1935 di propaganda che documenta il Raduno di Norimberga del Partito Nazionalsocialista svoltosi nel settembre del 1934) l’autore del libro scrive: “Anche Leni Riefenstahl è stata il nazismo. Dall’alto, anzi, della sommità del suo piedistallo di artista di regime, assisa sulla sua cattedra di cattiva maestra, del nazismo lei ha presidiato il simbolico e ne ha catturato l’immaginario, ne ha strutturato la mente e ne ha scolpito la corazza.”
Oltre che essere omaggio allo straordinario e profondo genio creativo di Tarantino, “La montagna di Quentin” è saggio illuminante che incrocia la teoria del linguaggio cinematografico e l’analisi storica.
Vincenzo Agostini
La Montagna di Quentin
232 pagg., euro 20
Meltemi Editore, 2021.

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