Cinema
“Il primo uomo” sullo schermo
Gianni Amelio porta sullo schermo “Il primo uomo”, romanzo incompiuto di Albert Camus. Alla ricerca del padre che è in ognuno di noi.
Un biglietto ferroviario nelle sue tasche e le bozze di un romanzo incompiuto nella sua borsa. Il destino di quello che pochi anni prima era stato il più giovane scrittore ad essersi mai assicurato il premio Nobel poteva passare di lì. Prendere un comodo treno e scappare così ad una morte prematura e tragica, giunta mentre stava guidando da Lourmarin, nel Luberon provenzale dove si era ritirato da poco a vivere, verso Parigi, insieme al suo editore Gallimard E rifinire, mettere a punto in maniera compiuta quel romanzo che avrebbe aperto sicuramente un capitolo nuovo della sua opera già matura, consacrata e, insieme, anche tanto contrastata da farlo sentire nel panorama intellettuale francese novecentesco un protagonista isolato e solitario.
Occorre dire che vi sono pagine, lampi di narrativa e di poesia, frammenti di una trama avvincente e complessa, appunti e abbozzi nati dalla ricerca di una memoria e di una riflessione del suo tempo, che fanno intendere come Il primo uomo (con questo titolo viene pubblicato a Parigi nel 1994) contenesse in sé i germi di un capolavoro letterario, forse l’opera più profonda di tutta la vasta produzione artistica di Albert Camus. Oggi sappiamo che con quel romanzo lo scrittore avrebbe voluto aprire un nuovo ciclo, rivolto al grande tema dell’amore umano, dopo aver esplorato in solitudine e controcorrente i due nodi di fondo della sua ricerca attorno alla condizione umana, l’assurdo e la rivolta. Camus non ha esitato a misurarsi con tutti i principali generi letterari, dal romanzo al teatro al saggio, fino a quei taccuini, impasto di poesia e di meditazione filosofica e speculativa che l’hanno fatto comparare a un Montaigne novecentesco. Segno non certo di un facile eclettismo letterario, piuttosto del fatto che il cuore della sua ricerca è sempre e prima di tutto l’uomo in sé, il soggetto visto e pensato nella sua tragica e dolente esperienza del vivere l’assurdo della condizione umana, quella di un Sisifo che eternamente sospinge in alto il masso che sempre ricade indietro. Ma “occorre immaginare Sisifo felice”, dirà Camus, proteso ad un certo punto del suo percorso esistenziale e creativo dal bisogno di una passione mediterranea, di quel “pensiero meridiano” fatto di sole e di mare, come di sole e di mare è fatta la parte algerina della sua origine, così rilevante in tutta la sua opera.
Ecco allora che Jacques Cormery, il protagonista del Primo uomo, compie il viaggio, concreto e interiore al tempo stesso, che lo porta a ritrovare la sua identità smarrita, a scavare con delicatezza nel suo passato e, alla fine, a ritrovarsi come uomo nell’autenticità della condizione esistenziale e storica. Gianni Amelio scava in profondità e riporta in superficie un mondo che ci sta alle spalle e ci riguarda, anche se ci siamo dimenticati di considerarlo nostro, presi dagli “astratti furori” di un tempo presente divorato da passioni troppo mediocri. Nel film ci appare un adulto che divide la scena con il ragazzo che è stato, un uomo che ha conosciuto la povertà, una povertà mai separata dalla dignità dei gesti e delle scelte di vita quotidiana. L’Algeria degli anni adolescenti di Camus, la dura ma “giusta” educazione familiare incarnata dalla severità della nonna che assume il comando domestico dopo la morte del padre dello scrittore, avvenuta nel corso della prima battaglia della Marna, nel 1914, “per servire un paese che non era il suo”. E la difficile convivenza tra arabi e francesi, la figura discreta e forte al tempo stesso della madre, indissolubilmente legata a quella terra tormentata, il ruolo fondamentale del suo maestro, Germain Louis, a cui Camus scriverà una lettera di ringraziamento il giorno stesso dell’assegnazione del massimo riconoscimento internazionale per la sua opera di scrittore, con lo stesso spirito dell’allievo che è stato. Amelio dimostra, ancora una volta, di scegliere la chiave interpretativa giusta, gli attori giusti, i toni giusti, di selezionare nel modo giusto i materiali (significativa è la lettera che gli ha scritto la figlia di Albert Camus, Catherine). Un caso, raro di questi tempi, in cui la grande letteratura incontra il grande cinema e insieme offrono a chi li sa vedere e ascoltare, poesia: una delle forme più elevate di conoscenza.
Gianni Zagato

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