Lo Zibaldone
Il nemico non è – I cantautori, la guerra e il conflitto sociale
Ho letto quasi tutti i libri di Mario Bonanno, condivido con lui una grande passione per i cantautori italiani, ritengo che sia importante il suo lavoro di ricerca e studio su testi intensi e immortali per i quali sarebbe lecito usare il termine poesia. Il nemico non è – sottotitolo: I cantautori, la guerra e il conflitto sociale – è uno dei lavori più compiuti e consapevoli di Bonanno, un’accurata ricerca sul tema della guerra nel mondo della musica impegnata, con divagazioni sul 1968, passando per il 1977 italiano e per tutto quel che ha rappresentato il conflitto sociale tra borghesia e proletariato, persino tra studenti e potere. Il saggio fa parte della collana musicale di Paginauno, caratterizzata da un aspetto spartano, da tascabile economico, forse eccessivo nel prezzo (17 euro), ma il libro è talmente ricco di contenuti che è impossibile non consigliarne l’acquisto. Bonanno analizza autori e testi (riportando le canzoni per intero e dimostrando quanto siano vicine alla poesia), interpreta da un punto di vista letterale i brani, inquadra le opere nel periodo storico, riporta curiosità non banali, insomma, compie un’opera critica preziosa, da esegeta delle fonti e commentatore preparato e colto. Molta attenzione è riservata a Fabrizio De Andrè con La guerra di Piero, ma anche a La ballata dell’eroe, senza dimenticare le guerre più antiche (Fila la lana), quelle tra indiani e coloni americani (Sand Creek) e la fallita ribellione individualista di Storia di un impiegato. Pagine preziose dedicate a Enzo Jannacci, medico cantautore geniale, una vera perla nell’ambiente musicale italiano, con l’analisi di Se me lo dicevi prima in chiave di parabola surreale, ma anche di tutta l’opera del grande cantautore, che ha lasciato erede il figlio di un’enorme responsabilità. Vincenzina e la fabbrica mi ha ricordato il grande cinema italiano (Romanzo popolare di Monicelli), mio padre che va a lavorare alle prime luci del mattino quando suona la sirena e il suo giramento di coglioni quando l’Inter il giorno prima aveva perso e Mazzola non aveva fatto il suo dovere. Lascia stare se Jannacci parla di Rivera, noi eravamo interisti e seguivano i nerazzurri di persona quando scendevano in Toscana, oppure giocavano all’Olimpico di Roma. Bonanno cita il Bennato dei tempi d’oro (Affacciati, affacciati …), il Venditti di quando era Venditti (la definizione è mia), Mario Castelnuovo, Mimmo Locasciulli, Stefano Rosso, il raffinato Roberto Vecchioni, l’immancabile Francesco Guccini. Confesso che spesso mi sono ritrovato a canticchiare i testi come facevo da adolescente, seduto sul letto, il piatto che girava il disco e io che mi beavo di parole e musica. Impossibile non farlo con Generale, ma anche con Cercando un altro Egitto del De Gregori dei tempi della pecora (o agnello che dir si voglia). Non dimentichiamo Ivano Fossati – un poeta sopraffino – e Claudio Lolli (che sono orgoglioso di aver sentito cantare in una stalla, a Pitigliano), l’underground fatto cantautore, con le sue canzoni anarchiche e antiborghesi. In definitiva la grande ricerca di Bonanno giunge alla conclusione che le canzoni dei cantautori sulla guerra – sulla ribellione in generale – non sono mai dichiarative, ma descrittive. Sono canzoni circostanziate a impressioni, a moti dell’animo, a reverie, prossimi, se non intrinseci al linguaggio letterario vero e proprio. E se sarà anche vero – come qualcuno ha scritto e cantato – che a canzoni non si fan rivoluzioni, resta pur vero che si possa far poesia, spesso più grande di quanta ne facciano tanti poeti laureati contemporanei.
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