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Lo Zibaldone

Il cammino del silenzio

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Di Francesco Roat

Risulta senza dubbio paradossale ogni nostro possibile discorso intorno al silenzio, poiché già dai primi tentativi di illustrarlo o di nominarlo noi lo interrompiamo/violiamo, inquinandolo fin da subito con le nostre parole, anche se scritte. Al di là della silenziosità acustica, della mera assenza di suoni, infatti, vi è una cessazione della discorsività mentale che favorisce il raccoglimento interiore e la meditazione. Però, se vogliamo trattare del silenzio meditativo ‒ che si discosta assolutamente da quello ordinario, di chi non intende o non può parlare ‒ o meglio ancora: celebrarlo, dobbiamo pur parlarne; giusto come ha fatto Emiliano Antenucci, con un suo felice saggio sull’argomento dal titolo programmatico: Il cammino del silenzio. Ad essere precisi questo libro è una trilogia di scritti (L’arte del silenzio, La danza del silenzio, La musica del silenzio), all’insegna di tre diverse prospettive d’approccio, al fine di consentire al lettore d’accostarsi attraverso varie modalità a questa pratica millenaria, presente da sempre un po’ ovunque nell’ambito della spiritualità, della meditazione/contemplazione religiosa e della mistica.

Il primo scritto: “ci fa entrare immaginariamente in dodici «celle dell’anima» con l’aiuto del genio artistico del Beato Angelico” e dei suoi affreschi che decorano il convento di San Marco in Firenze. Si tratta di un vero e proprio itinerario nel silenzio che l’autore propone, iniziando dal Chiostro dei pellegrini per poi salire al primo piano e raggiungere le celle dei monaci, mediante un’ascesa che vorrebbe suggerire l’ascesi o quanto meno la purificazione interiore dal rumore frastornate in cui siamo immersi nella vita quotidiana. Ma attenzione ‒ precisa Antenucci ‒: “Lasciare la nostra quotidianità non significa lasciare vita, incontri, relazioni, suggestioni, significa piuttosto ritrovarli trasfigurati”. Il silenzio, infatti, innanzitutto ci permette di fare pulizia nella mente e nel cuore, dando ad essi modo di aprirsi poi con maggiore disponibilità/recettività accogliente al discorso e alla presenza altrui.

Il primo passo lungo l’itinerario pacificante del silenzio è dunque quello di penetrare (e restare), sia pure all’inizio solo per qualche minuto, nella propria interiorità. Certo, rimanere in silenzio è possibile anche passeggiando in un prato o salendo un sentiero di montagna; ma per i principianti che volessero accostarsi a quest’arte, forse è bene iniziare a farlo seduti in una stanza tranquilla, in una chiesa o in qualunque altro luogo dove non si sia disturbati. Solitudine e silenzio sembrano fatti l’una per l’altro e si rafforzano reciprocamente. Non per nulla Bernardo di Chiaravalle (monaco amante del silenzio) accennava al binomio inscindibile solitudo-beatitudo. Ma nei momenti silenti anche l’esser soli si trasmuta in partecipazione/comunione con il prossimo, in modo tale da avvertire come – nota con poeticissime parole l’autore ‒: “il silenzio è la goccia che cade dal cielo e penetra la membrana di pietra del tuo cuore e ti trasforma in un cuore nuovo e di carne per tutta l’umanità”.

Il secondo scritto ci invita a cogliere il silenzio quale una danza, che si rivela: “armonia tra mente, cuore, corpo e spirito”. Danza metaforica, s’intende, espressione cioè di un moto interiore gioioso e accogliente, rivolto ad aderire al reale, a gustare il qui e ora in un ascolto aperto a 360°, che rende possibile il miracolo dello stupore nei confronti del mondo e dell’esistenza, a cui guardare tramite un’ottica diversa; in quanto ‒ dice bene Antenucci ‒ la vita è questione di sguardo, e: “Noi viviamo come pensiamo e come vediamo la realtà. Se abbiamo pensieri di morte, di distruzione, di pessimismo, rischiamo di vivere così”. Silenzio, allora, come contemplazione/fruizione piena del presente: qualsiasi cosa esso ci rechi; poiché la quiete ospitale e silenziosa è lenitiva e cura anche le più dolorose ferite dell’anima. Nel cui fondo è possibile ascoltare, senza l’ausilio dell’udito, la vera musica del cuore.

E siamo giunti al terzo scritto, che può sembrare contraddittorio sin dal titolo; in effetti molti potrebbero chiedersi cosa c’entri il silenzio con la musica. Ovviamente sempre di una metafora si tratta, poiché meditando non si sentono certo risuonare delle note musicali. Eppure Antenucci ha l’ardire di scrivere: “nel mio cuore cantano gli angeli, sento le campane a festa per le loro voci”. Siamo alla sezione più impegnativa del libro, alla parte più mistica, che tratta di accettazione piena, del distacco (nel senso di non attaccamento pernicioso) e dell’affidarsi a Dio. Per chi non crede, a differenza dell’autore, si potrebbe suggerire d’aver fede nella vita, d’aver sempre un atteggiamento fiducioso ‒ cioè non giudicante e accettante ‒ verso quel mistero gratuito che è l’esistenza nel senso più lato del termine; in quanto ogni cosa nell’universo è permeata di energia, vivacità, interconnessione: dagli atomi agli astri. Per coglierci non più come monadi isolate/insensate, ma come elementi vitali di un Tutto che i mistici chiamano divino.

Emiliano Antenucci,

Il cammino del silenzio. Vademecum per cercatori di felicità,

Effatà Editrice 2020,

pp. 304, euro 18,00

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