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Lo Zibaldone - Recensioni

Etty Hillesum – Vivere e respirare con l’anima

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di Francesco Roat

In soli ventinove anni di vita, prima di essere inghiottita ‒ ad Auschwitz, come Anna Frank ‒ dall’abisso del campo di sterminio, l’olandese Etty Hillesum (1914-1943) ci ha lasciato un eccezionale tesoro di pensiero sulla vita perseguitata, su Dio, sul male e sulla bellezza. Mi riferisco ai due suoi testi esemplari: il Diario e le Lettere (tradotti e pubblicati in Italia da Adelphi), grazie ai quali i lettori possono arricchirsi d’una testimonianza interiore all’insegna di una spiritualità che non fa riferimento tuttavia ad alcuna fede religiosa, nonostante l’autrice nei suoi scritti non tema affatto di parlare di e con Dio. Però il linguaggio metaforico della Hillesum è quello dei mistici d’ogni tempo e luogo; in quanto Etty – come amichevolmente la chiama Beatrice Iacopini in un suo recente/interessante saggio sulla Hillesum ‒: “giunse a fare l’esperienza paradossale dello spirito, ovvero dell’unità nel fondo dell’anima tra l’uomo e Dio, che definì la «più grande avventura» che sia dato di fare”.

Ma veniamo alla vita di questa giovane donna, nata da genitori di origine ebraica pur non essendo osservanti, come del resto la loro figlia per nulla conformista; anzi una sorta di vera e propria ribelle rispetto alle consuetudini e al moralismo piccolo borghese del tempo in cui visse. Non per nulla, a circa vent’anni Etty va a vivere presso un vedovo ‒ Han Wegerif ‒, di cui diviene la non sempre fedele amante. La nostra scrittrice inoltre rimane a lungo una persona eccentrica, segnata dall’egocentrismo e dall’inquietudine; tant’è che, a ventisette anni, decide di consultarsi con uno psicoterapeuta ‒ Julius Spier ‒ apprezzato da Jung. Ed è una decisione che, come concisamente nota la Iacopini, “le cambiò la vita”. Sin dal primo incontro infatti la Hillesum avverte il fascino magnetico di quest’uomo saggio finendo per divenirne, oltre che la paziente, la fedele segretaria/collaboratrice.

Spier si comporta con lei in modo socratico/maieutico, riuscendo a far venire alla luce dal profondo della giovane donna quell’anima che lei aveva fino ad allora: “sepolta sotto scorie e sassi”. È per Etty una sorta di rinascita spirituale. In poco tempo la metamorfosi è compiuta e la ex ragazza sospesa tra incoscienza e insoddisfazione diviene una persona d’estrema consapevolezza che dal soddisfare i propri capricci/desideri passa a preferire d’occuparsi generosamente degli altri e a convincersi ‒ puntualizza sempre la Iacopini ‒: “che il dolore facesse parte legittimamente del tutto, che andasse per questo rispettato, persino accolto, in maniera adulta e responsabile”. Eppure quelli che lei vive nella nuova fase della propria esistenza sono anni davvero terribili. L’Olanda è fatta oggetto dall’occupazione nazista, gli ebrei iniziano ad essere deportati nei Lager e la Hillesum decide di recarsi volontariamente quale assistente sociale nel campo di concentramento di Westerbork.

In quel luogo la rinata non cessa mai di essere soccorrevole con tutti, mantenendo una grande serenità anche nei momenti più drammatici; come alla vigilia delle partenze settimanali dei vagoni blindati per Auschwitz. Tutto questo senza mai provare odio distruttivo nei confronti dei carnefici, di cui certo non condivide l’operato ma lo accetta ‒ come possiamo leggere nel saggio ‒: “in un abbandono fiducioso e non giudicante a Dio”. Cosciente comunque che chi chiamiamo con questo pur venerando vocabolo è solo una theoría: grecamente una rappresentazione/immagine utilizzabile però solo per indicare qualcosa d’ineffabile. Si ascolti dunque, potremmo anche dire, dalla viva voce di Etty, ciò che lei ebbe a pensare rispetto a ciò, stralciandolo da due pagine del suo Diario.

A volte trovo la parola ‘Dio’ così primitiva: è solo una metafora dopo tutto, un avvicinamento alla nostra più grande e continua avventura interiore; sono sicura di non aver neppure bisogno della parola ‘Dio’, che a volte si presenta come un suono primitivo, primordiale. Una costruzione di sostegno” ‒ “Io riposo in me stessa. E questo ‘me stessa’, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo ‘Dio’ […] quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio”.

Mi verrebbe da citare tanti altri brani degli scritti della Hillesum, ma mi limiterò solo alla frase conclusiva con cui termina l’ultimo dei quaderni diaristici salvatisi dall’inferno del Lager: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”. Frase splendida che suggella una vita non più rivolta egoisticamente al benessere personale ma aperta agli altri e capace perciò d’autentico amore ossia dell’agápē disinteressata di cui parlano i vangeli e che Etty è stata in grado di esprimere miracolosamente. E chiudo, ridando la parola a Beatrice Iacopini, la quale osserva a tale proposito come: “sia Spier che Etty, ciascuno a suo modo, desideravano impegnarsi seriamente in questo tipo di amore, lavorando su se stessi, pregando e adoperandosi per essere quell’amore. Senza religione, senza dogmi, senza moralismo di sorta. Avevano colto, insomma, il nucleo della presentazione di Gesù e intendevano metterla in pratica: in questo senso si sentivano cristiani”.

Beatrice Iacopini,

Etty Hillesum. Vivere e respirare con l’anima. La scommessa di una spiritualità laica

Gabrielli Editori, 2025

pp. 212, euro 18,00

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