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Mostre

Davide Stucchi, Light lights, al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato

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Mostra a cura di Stefano Collicelli Cagol visitabile fino al 2 novembre prossimo

di Lorenzo Pompeo

Light Lights è la prima personale dedicata a Davide Stucchi da una sede istituzionale. Il titolo della mostra, tradotto, suona come ‘luci leggere’: introduce un viaggio attraverso spazi domestici immaginari. “Questo gioco di parole inglese è programmatico. Restituisce la dimensione apparentemente giocosa della ricerca artistica di Stucchi, ma anche la sua postura leggera nei confronti del sistema artistico e della tradizione scultorea. Uno scioglilingua che costringe il corpo a farsi protagonista già nella pronuncia del titolo” – dichiara il curatore Stefano Collicelli Cagol presentando la mostra, che presenta sculture accomunate dalla luce, presente o evocata.

Le opere di Davide Stucchi infatti sono disposte nello spazio curvo e irregolare dell’Ala Piccola Nio del Centro Pecci illuminata esclusivamente dalla luce emanata da esse. Il visitatore entra così in uno spazio nel quale sono sovvertite le regole di una consueta visione “oggettiva”. Così, come nel celebre Paese delle meraviglie di Alice, un ombrello è composto da una luce al neon oppure un nido composto da un groviglio di lucette dell’albero di Natale è posto sopra una porta che nasconde un’altra porta, come a suggerire uno spazio che non risponde alle regole a cui gli oggetti sono sottoposti, una scelta artistica che, come dichiara il curatore “racchiude una delle chiavi di accesso alla pratica di Stucchi: la messa in discussione di convenienze artistiche, di convenzioni sociali e di abitudini culturali, rivelando la postura di Stucchi, tutta fondata sul sovvertimento dei ruoli”.

Gli oggetti che l’artista utilizza provengono spesso dalla sfera più infima della vita quotidiana: utensili per la casa, minutaglia da ferramenta, luci al neon, complementi d’arredo e casalinghi, ma nello spazio espositivo in cui vengono ricollocati suggeriscono una destinazione d’uso, e quindi un significato, diverso da quello per cui erano stati concepiti. L’elemento standardizzato viene reso unico e originale dall’artista, il quale ne mette in scena una inquietante seconda vita in una realtà altrettanto inquietante, nella quale vengono sovvertite le certezze consolidate da un uso quotidiano. La precarietà di questa seconda esistenza è il riflesso di quella della vita, quotidianamente rimossa dietro il circolo della routine e delle azioni che tutti i giorni, senza accorgercene, eseguiamo in modo meccanico. Dietro l’apparente disordine in cui sono disposti gli oggetti nello spazio espositivo c’è una maniacale e insistita ricerca di un’altra realtà, forse più autentica di quella ordinata, della quotidianità. Come se dietro le coordinate cartesiane, dietro la geometria euclidea, fosse in agguato un altro mondo, sottoposto a regole diverse rispetto a quello della razionalità e del buonsenso, ma che possiede dei valori estetici che, a suo tempo, gli artisti dadaisti e surrealisti avevano cominciato a esplorare. La moda, la scenografia, la pubblicità sono senza dubbio aree di sperimentazione affini a quella di Davide Stucchi. L’artista, non a caso, per anni si è confrontato con questi ambiti grazie alla sua capacità di inquadrare i problemi, compiere scelte estetiche e formali, individuare le soluzioni veloci e la sua efficace organizzazione del lavoro. Ma nella mostra in questione l’allestimento ci restituisce la suggestione di un “un luogo vibrante, complice il cambio di dimensioni spaziali a mano a mano che la si percorre” nel quale, come falene, le opere si raggruppano attorno alle fonti luminose, oppure se ne discostano per cercarne di nuove, una dimensione spaziale che suggerisce al visitatore la possibile esistenza di un mondo parallelo all’interno di quello, più noto e confortante, della quotidianità.

Foto: Davide Stucchi, Centro Pecci 4 Photo Andrea Rossetti (1)

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