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All’asta “Acetaria” un trattato del 1699 sul miglior modo per fare un’insalata
Nonostante John Evelyn non avesse l’ambizione d’esser considerato un cuoco eccellente, la sua passione per il cibo lo spinse a scrivere un volume riguardo le gioie di uno stile di vita vegetariano ed in particolare riguardo l’importanza di una buona insalata. Nel 1699 pubblica “Acetaria, or a Discourse of Sallets” (ndr. “sallets” viene letto “salads”), un’approfondita guida di cucina vegetariana, completa di istruzioni di preparazione, un calendario di stagionalità di erbe e verdure ed arricchito da brevi digressioni filosofiche. Una prima edizione del libro è ora in vendita grazie alla casa d’aste Addison & Sarova: ci si aspetta che l’opera venga venduta per almeno un migliaio di dollari.
Evelyn non è mai stato uno chef di mestiere, ma sicuramente sapeva come muoversi in cucina, come pure nell’orto. Aveva capito quanto “sia necessario, per l’equilibrio di un’insalata, che ogni vegetale faccia la propria parte, senza esser sopraffatto da erbe con un sapore più forte”, e con grande meticolosità, esorta all’uso attento dei vegetali, cosicché ognuno d’essi possa dare il meglio di sé. Consiglia di fare in modo che “i vostri ingredienti vegetali siano squisitamente selezionati, e puliti da foglie mangiate dai vermi, marce o scivolose, secche, macchiate, o viziate in qualsiasi altro modo” e che, durante la mondatura, gli ingredienti vengano “delicatamente spruzzati d’acqua” piuttosto che “abbondantemente annaffiati d’acqua”. Accortezza, questa, particolarmente necessaria nel caso delle verdure “del tipo del cavolo, le cui teste sono protette a sufficienza dalle foglie esterne che le ricoprono”. Una volta prese queste misure preventive, è l’ora del condimento – o “Oxoleon” – d’olio, aceto e sale.
Secondo l’Encyclopedia Britannica, Evelyn ha pubblicato circa trenta libri riguardo gli argomenti più disparati nel corso della sua vita. È famoso però per il suo Diario, che cominciò all’età di 11 anni e continuò a compilare per il resto della sua vita; il Diario ha poi permesso un dettagliato sguardo nella cerchia dell’alta società inglese del diciassettesimo secolo.
“Acetaria” – nonostante Evelyn stesso non fosse vegetariano – si fa beffe dei carnivori o “crudeli macellai di tante indifese creature; alcune delle quali sottoponiamo a tormenti impietosi, per soddisfare uno squisito e impagabile epicureismo”. Poche righe dopo però, forse proprio per il fatto che di carne ne mangiava anche lui, afferma “condannare i carnivori non è affar mio”. Ma la causa era una causa nobile ed innovativa per i tempi, voleva mostrare “attraverso si tanti casi ed esempi, come fosse possibile vivere solamente di vegetali, a lungo e felici in egual misura”.
M. Beatrice Rizzo
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