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La rivoluzione del mondo antico
di Francesco Roat
Finalmente è stato tradotto in italiano un testo basilare su quella che il suo autore, Jan Assmann, ha ritenuto esser stata una vera e propria rivoluzione del mondo antico, ossia l’Esodo ebraico dall’Egitto. Con esso, infatti, assistiamo a qualcosa di completamente nuovo nell’ambito socio-religioso; una novità che si configura come: “un grande evento fondativo e salvifico” di un popolo, col quale ha inizio, per dirla nella lingua di Assmann, der Monotheismus der Treue, il monoteismo della fedeltà, che appunto: “obbliga tutti coloro che sono stati liberati a un’eterna riconoscenza e fedeltà verso il liberatore”, cioè YHWH, solo ed unico Dio. Ma non basta. In tale prospettiva, il libro biblico dell’Esodo può esser colto non esclusivamente come il mito fondativo di Israele, ma persino come un elemento essenziale di quella che, con l’evoluzione della religiosità giudaico-cristiana, diverrà poi la cifra caratteristica del cosiddetto mondo moderno: cioè il vero e proprio esodo definitivo dall’antico mondo delle credenze politeistiche.
Potremmo considerare esse, infatti, quali culture statiche in cui ciò che conta è riferirsi agli archetipi ancestrali, in cui nulla ha da essere mutato e dove non è immaginabile progresso alcuno. Al contrario il monoteismo ebraico – e l’Esodo: suo mito principale ‒ appare all’insegna della trasformazione e della progettualità. Bisognava, in primis, cambiare la situazione di sudditanza/schiavitù e progettare altrove una società giusta, inaugurata con Dio che (proprio al termine del libro biblico dell’Esodo) verrà ad abitare nel santuario-tenda presso il suo popolo. Solo in seguito a ciò gli ebrei potranno giungere alla Terra promessa. Infine l’Esodo, nota Assmann, è pure il simbolo di ogni rivoluzione con cui: “si abbandona il passato per qualcosa di nuovo, di totalmente altro”.
Ad una considerazione storica va comunque accennato: fino ad ora non è mai emersa traccia archeologica significativa che dimostri che una tale emigrazione ‒ quantomeno così massiccia e significativa ‒ sia davvero avvenuta. Anzi, dalla maggior parte degli studiosi si ritiene che, se è plausibile che un esodo alquanto modesto dall’Egitto possa aver pure avuto luogo, quanto viene narrato nella Bibbia non è realmente accaduto. Lo stesso personaggio di Mosè è altresì quasi certamente solo una figura leggendaria/letteraria. Si tratta dunque di un mito fondativo. Ma è ingenuo sostenere che i miti debbano basarsi sulla realtà storica. O, meglio ancora, la domanda da porsi è la seguente: quel che importa di una tradizione è il significato che essa ha assunto nei secoli/millenni o che essa si basi su fatti scientificamente verificabili? A questo proposito concorderei perciò senz’altro con l’autore del saggio nel ritenere piuttosto che: “Il racconto dell’Esodo non scrive la storia, fa la storia”.
La verità espressa nel cosiddetto Antico Testamento non necessita pertanto d’esser certificata da alcun reperto archeologico; è semmai l’esistenza dei fedeli a quei testi biblici a convalidarla. Anche perché qui non siamo a cospetto dei filosofi greci per cui la verità equivale a svelamento/scoperta (aletheia), ma in una congerie culturale in cui la certezza e indubitabilità della fede significa e comporta appunto una piena fiducia nelle promesse di Dio e nel patto tra il popolo, che crede in Lui, e YHWH. L’Esodo allora può venir visto come opera non già soltanto letteraria (o peggio: finzionale) ma quale testo eminentemente performativo, in grado di creare una realtà giusto quando la rappresenta.
Ed è la rivelazione, alla fin fine, il cuore dell’antico libro ebraico chiamato Esodo. Dice bene Assmann rispetto alla legge divina consegnata a Mosè: “Qui un codice secolare del diritto viene declinato, insieme con le altrettanto secolari regole dell’arte della vita comunitaria, nella modalità della rivelazione e, attraverso questa «teologizzazione del diritto», l’intera forma di vita e l’intera costituzione di un popolo vengono innalzate al rango di una verità assoluta, di una verità eterna. Nel mondo antico non si riscontra nulla di analogo.”
Vorrei infine far mia la conclusione di questo interessante saggio, laddove, parlando dell’ultimo capitolo dell’Esodo in cui viene narrata la costruzione del santuario-tenda quale dimora di Dio, Assmann osserva che tale tempio, più che da un manufatto specifico, è rappresentato dallo stesso popolo di YHWH che, santificandosi mediante l’osservanza dei dettami divini, può costituire la più autentica dimora del Signore. Un tempio immateriale, quindi, che può e deve trovar luogo nel cuore e nella mente degli uomini e che ha permesso al popolo ebraico di essere ‒ nonostante la diaspora bimillenaria un po’ ovunque nel mondo ‒: “l’unico fra tutti i popoli antichi che sia riuscito a conservare la propria identità etnica e culturale”.
Jan Assmann, Esodo. La rivoluzione del mondo antico, Adelphi 2023, pp. 428, euro 42,00

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