Lo Zibaldone
Un gatto e un topo e un’amicizia che commuove. Intervista a Luis Sepulveda
Luis Sepulveda è tornato a raccontare una storia di animali, tenera e straordinaria. E parlando di loro, ricorda i suoi amici, quelli che non ci sono più e con cui continua a parlare sempre. Perché l’amicizia ti fa pensare in prima persona plurale, e quel “noi” ti rende più forte.

Foto di Niko Giovanni Coniglio - nikoconiglio.com
A sedici anni dal grande successo di Storia di una gabbanella e del gatto che le insegnò a volare, dopo altri romanzi e racconti in cui poesia e magia hanno sempre incrociato il suo impegno civile e le sue riflessioni sulla complessità della società, Luis Sepulveda è tornato con una nuova “favola” sul mondo animale, Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, e subito ha conquistato i primi posti delle classifiche letterarie. È la storia del gatto Mix che vive insieme a Max, che lo ama molto ma è spesso assente per motivi di lavoro. Così Mix è costretto a passare lunghe ore in solitudine, e intanto, pian piano, sta perdendo la vista. Ma un giorno sente provenire dei rumori dalla dispensa e intuisce la presenza di un topo… Mex diventerà il suo più grande amico, e attraverso i suoi occhi riuscirà a fargli vedere ancora il mondo…
Perché ha aspettato così tanti anni per scrivere ancora una storia di animali?
Sarebbe stato troppo facile sfruttare il successo della Gabbianella… questa nuova storia l’ho scritta per rispondere a una domanda di mio nipote Daniel di tanto tempo fa: “nonno, perché ami così tanto gli amici?”. Ci ho messo molto tempo per rispondergli. Allora avevo 50 anni. Adesso ne ho 63, e ho scritto questa storia per raccontare questo valore fondamentale, perché l’amicizia nasce non solo dall’incontro di due persone, ma dalla scoperta di qualcosa in comune, quando scompare l’io e tutto diventa noi. E ho voluto scriverla come una favola, con un linguaggio diretto comprensibile per un piccolo lettore, che vuole una grande quantità di cose e poche parole.
Scrivere per i più piccoli è più facile?
No, è uno sforzo complesso, difficile, che richiede una leggerezza quasi calviniana. Per la Gabbianella avevo un collettivo di ragazzi che erano i miei figli e i loro amici, adesso c’era un’altra generazione, quella dei miei nipoti, abituata ad altri linguaggi. Ho pensato che, per parlare di amicizia, bastavano due personaggi, e un gatto e un
topo, così diversi tra loro e dunque perfetti. Come sempre, andando avanti nella storia, arriva un momento in cui i personaggi hanno una vita propria e lo scrittore diventa un
cronista che la scrive, e non dipende più dalla sua volontà…
Lei parla spesso di animali.
Sono cresciuto fra cani, gatti, galline… la loro presenza è una parte di tutto il mondo naturale che ci circonda, e ti fanno capire come funziona la natura. C’era la gallina Dorotea che giocava al calcio con noi ragazzini, e quando un giorno non l’ho vista più mi hanno detto che era sulla tavola, pronta per essere mangiata… sono stato molto triste: vedere il suo cadavere con intorno le patate ha segnato la fine della mia infanzia.
Lei parla spesso di amicizia.
E’ importantissima. L’esistenza si può coniugare solo con la prima persona plurale, ed è bello dire “noi siamo”, “noi pensiamo”… ti fa sentire più forte. Adesso è tutto “io”, ed è un mare di solitudine. Con un amico non hai neppure bisogno di parlare troppo, perché sai che lui ti sente comunque, e c’è sempre. Io ho un amico da tantissimi anni, un vecchio pescatore che è una persona speciale, di pochissime parole: ogni volta che andavo a trovarlo nella sua umile casa mi chiedeva “cosa vuoi mangiare?”, e io gli rispondevo “tu lo sai”. Così andava al mare e dopo un po’ tornava con un pesce enorme che mangiavamo insieme. Poi in Cile è arrivato il golpe, mi hanno mandato in prigione e poi in esilio… sono tornato a trovarlo dopo sedici anni, ci siamo abbracciati, e poi lui mi ha chiesto “cosa vuoi mangiare?”, e io gli ho risposto “tu lo sai”. Così è andato al mare ed è tornare con un grosso pesce… gli ho raccontato come era stata la mia vita in tutto quel tempo, e lui mi ascoltava attento, in silenzio. Quando gli ho chiesto di raccontarmi cosa aveva fatto lui, mi ha risposto “niente di importante. Ho vissuto. E siccome tu sai capire, mi sembra che ho detto tutto”. Ecco, con un amico puoi anche stare senza parlare, ti basta sentire che l’altro è insieme a te.
Tanti suoi libri sono dedicati ai suoi amici.
Sì, perché è come parlare continuamente con loro, che sono amici, fratelli… sulla mia scrivania c’è una foto di Osvaldo Soriano, e quando la guardo sento che mi sta dando tutta la sua attenzione, anche se lui non è più qui… Un altro amico che sento sempre vicino è Julio Cortazar: lo avevo conosciuto a un premio letterario in cui c’erano anche Garcia Marquez e Vargas Llosa. Avevo 16 anni, e pensavo che un giorno gli avrei detto quanto lo amavo. Ci siamo rincontrati in altre occasioni, ma non c’era mai il tempo di parlare… poi una sera, a Parigi, eravamo vicini di tavolo in una cena: è arrivata un’urgenza biologica, e mentre eravamo insieme all’urinario lui mi ha detto “parliamo o non parliamo?”. Gli ho risposto che avevo un discorso preparato da molti anni. “Allora, vieni domani a casa mia, e porta una bottiglia di cognac e due pacchetti di Gitanes senza filtro”. Abbiamo parlato per due giorni, ed è nata un’amicizia profonda fra un maestro e uno scrittore giovane. Era un uomo generosissimo. Ancora oggi, quando vado a trovarlo sulla sua tomba a Parigi, porto sempre due Gitanes senza filtro, una per lui e una per me, e mentre fumo continuo a parlare con lui…

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