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Lo Zibaldone

Smartati – Gli “sbandati” del lavoro agile

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Di Andrea Coco

Di Smart working se ne parlava da molto tempo, almeno da venti anni, ovvero da quando fu raggiunto l’accordo sul telelavoro, fermo restando che non tutte le aziende erano favorevoli alla sua applicazione. A superare le molte resistenze, a raggiungere il picco degli otto milioni di lavoratori, ci ha pensato il Covid, un evento che superato a forza i molti ostacoli presenti come il suo discutibile nome (falso anglicismo made in Italy), la mancata applicazione della legge 81/2017, che l’ha introdotto, e l’assenza dell’istituto del Lavoro Agile nei contratti di lavoro.

Nonostante tutto, il Lavoro Agile (questo il suo nome in Gazzetta Ufficiale) ha riscosso successo, anche se per alcuni è semplicemente lavoro da casa e per altri una vacanza dal pubblico impiego. Tuttavia, i rischi che porta con sé sono molteplici, come la possibilità di un nuovo business bug, il reverse back dell’urbanizzazione e della storica emigrazione interna, il suicidio di smart city e di coworking. Infine, il ritorno trionfale dell’unico lavoratore non smart per eccellenza: l’operaio. Il cambiamento non si ferma qui, ma è indispensabile un nuovo accordo perché lo smart working non diventi robot working.

Giuseppe Mele, fiorentino di nascita, veneto e romano d’adozione, studi tra Bologna, Firenze e Mosca, giornalista pubblicista, ha lavorato per trent’anni nelle aziende tecnologiche dell’informatica privata e pubblica e delle telecomunicazioni, vivendone per un decennio le vicende sindacali. Ha scritto Letture Nansen (in russo), Digital Renz Akt, Renzaurazione.

 

GIUSEPPE MELE

Smartati.

Gli «sbandati» del lavoro agile: dal telelavoro allo smart working

goWare, 2020

pp. 206, euro 16,14 (cartaceo)

epub 9,99

 

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