Lo Zibaldone
Robert Ervin Howard: Gli avventurieri del mare
Cosa o chi può legare le terre che circondano il Mare del nord poco dopo la caduta dell’impero romano d’occidente con i Caraibi delle guerre mondiali di Luigi XIV? La penna di Robert Ervin Howard.
Elara s’imbarca ancora nelle vicende dei personaggi inediti in Italia del texano con la prima pubblicazione in Italia del ciclo di Cormac MacArt e due storie ambientate nel periodo d’oro della pirateria caraibica.
La scomparsa prematura dello scrittore provocò un vuoto colmato a fatica nei decenni successivi, la sua penna estrosa e vulcanica era capace di scivolare attraverso i generi, pur mantenendo il suo piglio caratteristico come ambientazioni e temi. Un vero peccato, ma questi sei gioielli sono eccelsa fattura nella bibliografia dell’autore. Questo volume affronta attraverso lo scaltro Cormac uno dei temi preferiti di Howard: gli odi atavici tra etnie, un affresco di sensazionale crudeltà e violenza che si dipana nelle isole britanniche fra scie di sangue e catene di vendette, inseguimenti, razzie, uccisioni e tanti combattimenti. Spettatore e partecipe, carnefice e vittima è il condottiero Cormac MacArt, un cugino letterario del suo Turlogh il nero, rinnegato Irlandese (popolo fra i favoriti di Howard per le sue ascendenze gaeliche) che s’unisce alla ciurma di pirati danesi di Wulfhere. Fra i due c’è un rapporto enfatizzato dalle differenze fisiche e somatiche, che sono tratti caratteristici delle loro personalità. Sempre in cerca di bottino ma con un senso dell’onore non comune, questi pirati si muovono combattendo battaglie a pagamento per sé stessi o per committenti d’imprese eccezionali, combattendo contro Gaelici, Angloromani, gli odiati Sassoni e gli altri Vichinghi (Svedesi e Norvegesi) e talvolta contro i sempiterni Pitti delle sue saghe, i ricorrenti barbari semiselvaggi che irrompono come supremo grado d’intensa potenza atavica. Ed è questa potenza che si dispiega su più livelli nei quattro racconti. Un mondo selvaggio e brutale, in cui si lotta ogni giorno per pochi metri di terra difesi da una palizzata, ma dove continuamente l’odio riaccende passioni e furori che si ridestano in profondità ancestrali e bestiali, le più interne.
Ambientazione diversa è quella caraibica di fine 1600 inizio 1700. Terence Vulmea il nero e Helen Tavrel sembrano diversi da Cormac e Wulfhere. Cambiata l’epoca, la tecnologia, la geopolitica, ma la violenza e la brama di potere e denaro rimane la stessa. Due bucanieri, uno dei quali donna, duri e beffardi come i loro predecessori dell’Alto Medioevo, eccezionali combattenti di ferro in mezzo a pericoli umani (altri pirati, soldati e tribù selvagge), naturali (animali e ambienti non addomesticati) e soprannaturali. In entrambe le situazioni Howard non resiste alla tentazione d’inserire elementi sovrannaturali, antiche rovine di civiltà precedenti alla storia conosciuta e i loro tenebrosi e insondabili segreti, ma i Caraibi forniscono scenari più lussureggianti. In entrambi i casi la logica glaciale di Howard è sempre perfetta: i personaggi sono figli di ambienti ed epoche definite e ben conosciute dallo straordinario scrittore, i loro comportamenti e azioni sono diretta conseguenza. Fuori dal tempo anche quando è ben calato all’interno di uno scenario, lontano dalla nostra epoca vanesia e dalla sua ipocrita, il genio di Howard risplende totale e scintillante come la lama di una spada invincibile puntata nel gelo notturno contro l’indifferenza ai più profondi valori umani:
l’onore, il coraggio, la generosità, la bontà, la conoscenza di sé e delle proprie radici, sono tutti espressi letteralmente o metaforicamente, in superficie o nelle profondità dell’oceano narrativo di quest’affascinante e barbarica carrellata degli Avventurieri del mare.
Robert Ervin Howard
Gli avventurieri del mare
Elara
Trad. Armando Guerrieri e Annarita Curridore
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