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Racconti di un povero diavolo
Matt Bellino, nato a Padova nel 1982, è un autore che, nonostante un percorso di studi frammentato e diverse esperienze lavorative, ha trovato nella letteratura e nel cinema le sue passioni più grandi. Il suo romanzo d’esordio, Racconti di un povero diavolo, affidato a SBS Edizioni, esplora i temi del libero arbitrio, del rimorso e della redenzione attraverso la figura di un diavolo capace di manipolare le anime umane, portando i personaggi a profonde rivelazioni e scelte inaspettate. Questa storia coinvolge il lettore in un viaggio tra realtà e soprannaturale, spingendolo a riflettere sulle proprie scelte e sulle influenze esterne.
Nel tuo libro Racconti di un povero diavolo, il diavolo ha un ruolo centrale. Da dove nasce l’idea di questa figura ambigua e al contempo empatica?
Ho immaginato Bernardo, il povero diavolo di questo racconto, come un avatar della tentazione. Lui rappresenta quella voce che ci capita di sentire dentro, quando ci troviamo di fronte a scelte importanti: ci fa sentire soli, isolati, conosce ogni nostra debolezza e vi si insinua per manipolarci, per piegare la nostra volontà in favore dei suoi scopi. E’ parte di un sistema che porta le persone lontane dalla Luce, ma non è detto che lavori sempre in favore del Caos.
Come hai sviluppato il personaggio di Marco e in che modo rappresenta le sfide interiori che affrontiamo nella vita reale?
Marco è il personaggio che più mi è piaciuto descrivere. E’ un giovane che sente di avere un talento, ma di non riuscire a sfruttarlo perché, come spesso accade, le correnti della vita lo hanno trasportato in un luogo non suo. E’ un’uomo fuori posto, che vuole cambiare ma non riesce a staccarsi dalla sua zona di comfort, e giorno dopo giorno aspetta che qualcosa o qualcuno intervenga per dargli la forza. Col passare degli anni, le sue speranze si sono ormai inaridite, quando una sera, dal mare, riceve la visita di un povero diavolo.
Tra riflessioni filosofiche e momenti di introspezione, il romanzo esplora temi universali come amore e pentimento. Quali autori, o opere, hanno influenzato maggiormente questo aspetto della tua scrittura?
Sicuramente sento di dovere molto a maestri come Salman Rushdie e Haruki Murakami: mi ha sempre affascinato la loro capacità di raccontare sentimenti profondi e universali con uno stile semplice, raffinato e scorrevole. Mi sono anche ispirato ai film di Cristopher Nolan, alla sua concezione del tempo come un fluido in un moto perenne e caotico. Non posso dimenticare, infine, quel genio introverso che risponde al nome (tra i tanti) di Fernando Pessoa.
Il libro tocca temi profondi e universali: pensi che il pubblico possa trovare nella tua opera una chiave per riflettere sulle proprie esperienze personali e sulle scelte che compie ogni giorno?
Anzitutto spero che quello che scrivo appassioni e diverta le persone. Cerco sempre di concentrarmi sulla storia e sui personaggi, ma mi sono reso conto che, per dare profondità a una trama, devo intrecciarla con le domande che la vita, quella vera, a volte ci rivolge. Chi siamo davvero? Perché ci sentiamo soli? Cosa rende così raro essere felici?
Onestamente non penso di aver risposte a tutto questo, non più di qualsiasi altro mio lettore; penso che sia già un successo, però, iniziare a porsi queste domande.
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