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La Havana di Zoé Valdés

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di Gordiano Lupi

Termino in poco tempo la lettura di En La Habana nunca hace frio, centosessanta pagine scorrevoli scritte in un castigliano corretto all’avanero, con espressioni gergali come pitusa (jeans), tortillera (lesbica), peludos (capelloni) … Ah, se fosse possibile convincere grandi editori e lettori forti italiani (esistono?) che la scrittura ispanica non è solo García Marquez, Luís Sepulveda e Isabel Allende … Zoé Valdés torna su luoghi che ha già calpestato, digita ricordi (tacleo recuerdos, bellissima l’espressione in prima persona spagnola!), ripercorre la sua adolescenza (nel 1972, a 13 anni), quando per finire in cella bastava mettersi a suonare i Beatles in un garage, cantare in inglese (lingua del nemico), leggere Cabrera Infante, indossare jeans (pitusa) e sfoggiare capelli lunghi. Una storia vera scritta come se fosse un romanzo, da leggere e da meditare, per capire che non tutto è sempre come ce lo raccontano. Il mio amico scrittore Alessandro Del Gaudio un giorno mi consigliò Café Nostalgia di Zoé Valdés, un vero capolavoro, non finirò mai di ringraziarlo. Ho letto molte altre cose di Zoé Valdés, ho tradotto quasi tutta la sua ispirata poesia, ho apprezzato il modo originale di raccontare Cuba e di ricordare il passato con delicata nostalgia. En La Habana nunca hace frío è un lavoro diverso dagli altri, non è un libro poetico, è un romanzo amaro, scritto con lacrime di rancore nei confronti di un regime liberticida, privo della nostalgia apprezzata nei romanzi del passato. Zoé Valdés ha vissuto in un luogo dal quale è dovuta scappare alla ricerca della vera libertà, mentre nessuno le credeva e tutti dicevano che la vera libertà si trovava nel paese dal quale stava fuggendo. Il romanzo racconta le vicissitudini di un gruppo di giovani avaneri tra peripezie musicali e poetiche, ragazzi che tentano di far parte di un movimento hippie proibito per legge e ferocemente represso. La narratrice si chiama Eva – Zoé sotto mentite spoglie – una giovane ribelle cubana che canta in inglese, ascolta musica proibita, esce con ragazzi che si fanno crescere i capelli oltre il dovuto, vivendo il rock insieme agli amici Bada e Pilzy, creando una forza liberatoria e underground che a Cuba tutti chiamavano Jipangá. Rock e libertà, rock e voglia di fuga, rock e comunismo liberticida. Tutto questo è la poetica contenuta ne En La Habana nunca hace frío, romanzo che ho dovuto leggere in castigliano per assenza di editore italiano, pubblicato dalla spagnola Editorial Almuzara, collana Berenice.

En La Habana nunca hace frio: https://us.amazon.com/Habana-nunca-hace-fr%C3%ADo-Spanish/dp/8411317269/ref=sr_1_1?qid=1698997724&refinements=p_27%3AZo%C3%A9+Vald%C3%A9s&s=books&sr=1-1

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