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Lo Zibaldone

L’infinito prima di Dio

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di Francesco Roat

 

La domanda che si/ci pone il saggista José Arregi nel suo ultimo libro è interessante. Ha ancora senso, oggi, utilizzare ancora la parola Dio? Come la sua risposta, che risulta difficile da riassumere in poche righe, essendo articolata lungo circa 200 pagine di testo. Cercherò comunque di farlo. Se con tale vetusto termine alludiamo al Signore onnipotente e onnisciente nonché creatore dell’universo, di cui si parla nella Bibbia, il responso di Arregi è senz’altro un chiaro e forte no. Ogni tipo di teismo ‒ con tutta la mitologia e teologia ad esso collegata, con tutti i suoi dogmi, riti e sacramenti vari ‒ secondo l’autore ai nostri giorni è improponibile.

Tutte le credenze religiose ‒ leggiamo in uno dei primi capitoli del saggio ‒ sono delle costruzioni culturali che “dipendono da una determinata cosmovisione (…). Sono, pertanto, mutevoli, nella misura stessa in cui cambia la cultura, la cosmovisione, il linguaggio”. Alla base di quella ebraica, cristiana e musulmana, ad esempio, c’è la figura metafisica di un Dio personale che perdona e punisce chi si adegua o rispettivamente non si adegua ai suoi dettami. A tale figura però, secondo Arregi, non si può più credere fin dai tempi di Nietzsche, che, proclamando la morte di Dio, annunciò la fine di ogni presunta verità metafisica, teologica e filosofica al contempo.

Defunta l’immagine religiosa di Dio ‒ per la maggioranza di noi occidentali disincantati, quantomeno ‒ e ridottasi la credenza in lui ad uno stanco rituale riproposto a sempre meno fedeli dalle varie Chiese in declino, ai giorni nostri, scrive però Arregi: “Si impone l’urgenza, più pressante che mai, di una spiritualità della vita oltre la religione”. Una spiritualità atea, se vogliamo, tuttavia necessaria; senza la quale si scade nel grezzo materialismo o nella fabbricazione di nuove ma non meno problematiche divinità: quali la scienza, la tecnica e l’intelligenza artificiale, alle quali ci si sta affidando fideisticamente tanto quanto prima si faceva nei confronti del buon vecchio Dio.

Dunque, tornando alla domanda iniziale, questo antico ‒ venerato o aborrito ‒ vocabolo, deve essere espulso dal nostro vocabolario o rappresenta ancora qualcosa di significativo? Paradossalmente una risposta alternativa potrebbe essere un , qualora la parola Dio venisse intesa come un simbolo o una metafora per indicare il miracolo ed il mistero della vita, dell’essere e della relazione che intercorre fra tutto ciò che esiste: dalle particelle subatomiche alle galassie. Dio, insomma, da intendersi grecamente quale dynamis o potenza/possibilità che vediamo presente come energia pervasiva ed attiva ovunque.

È opportuno leggere quanto nota ancora Arregi: “Dinanzi alla realtà nella sua dimensione più profonda, non andiamo oltre un balbettio. Non c’è alcuna realtà che possa essere identificata con l’«oggetto» esteriore che sperimentiamo o conosciamo, perché ogni «oggetto» è in certa misura una costruzione dei nostri occhi, dei nostri sensi, dei nostri strumenti di osservazione e delle nostre elaborazioni mentali, per quanto scientifiche possano essere. Tanto più se ci riferiamo alla Realtà assoluta, al Tutto, all’Infinito o Dio o Dao, Shunyata, Brahman…”. Da questa prospettiva il termine allusivo Dio rimanda non già a qualcuno (o a qualcosa) ma ad un indicibile forza che pulsa in ogni cosa che è collegata ad ogni altra in una comunione o interscambio davvero ammirevole.

Quando fu chiesto a Raimon Panikkar ‒ figlio di un indiano e di una spagnola; il quale seppe riunire nella propria esperienza spirituale la saggezza della tradizione religiosa orientale e occidentale ‒ se credesse nell’esistenza di Dio, egli rispose con una frase condivisibile: Dipende da ciò che si intende per Dio. E nel terzo millennio sempre meno si potrà credere che esista un’entità soprannaturale, un grosso idolo da implorare; piuttosto si potrà acconsentire a indicare con tale antico e sacro nome “la realtà ultima che siamo”. Se chiamiamo Dio questa modalità/possibilità dell’essere, questa eterna evenienza organizzatrice, la si può cogliere come natura in continua evoluzione o creatività intelligente. Infine come amore, inteso quale relazione/interconnessione vitale tra ogni cosa.

José Arregi, L’infinito prima di dio. In transizione: liberare il mistero divino dalle immagini umane, Gabrielli editori, 2024, pp. 211, euro 19,00

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