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Lo Zibaldone

La vita e giorni. Sulla vecchiaia

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di Francesco Roat

Non è certo solo dedicato agli anziani o a chi sta per affacciarsi alla soglia della terza età il saggio di Enzo Bianchi dal titolo: La vita e i giorni. Sulla vecchiaia (il Mulino). Questa riflessione è rivolta anche ai giovani; se non altro per il fatto che ogni individuo dovrà comunque, presto o tardi, affrontare la senescenza (se avrà la fortuna di arrivarci), e l’arte del vivere comporta saper gestire la parabola esistenziale pure nel tratto declinante del suo percorso. Anche se l’ultima stagione della vita viene appunto paragonata all’inverno, dove regna il freddo, il sole tramonta presto e gli alberi spogli ci sembrano tristi, rinsecchiti, morti quasi.

Tuttavia, scrive con accorata partecipazione ma senza alcuna retorica Bianchi: l’inverno ‒ ovvero, fuor di metafora, la vecchiaia ‒ può essere una stagione straordinaria, un’età della vita ricca d’una sua pienezza peculiare, un traguardo degno di essere raggiunto/attraversato. Tutto dipende da come guardiamo ad essa, se con consapevolezza ed autenticità o rincorrendo vane lusinghe e illusioni. Come quella, esiziale, di poter restare giovani in età avanzata, o quella di non accettare i limiti ‒ e sono tanti, ahinoi ‒ che la senescenza con l’andar del tempo quasi sempre comporta. Insomma ‒ ammonisce l’ex priore della Comunità Monastica di Bose ‒: guai al tentativo di esorcizzare/rimuovere la realtà dell’invecchiamento; ma al contempo guai a perdersi d’animo di fronte ad acciacchi, patologie e/o inevitabili cali di prestazione nei più svariati ambiti.

Accogliere senza rammarico il naturale venir meno (la perdita) di status, cose, persone, ecc. è dunque la caratteristica precipua di un’ars vivendi: “che va praticata con più consapevolezza e assiduità nell’età matura, proprio per prepararsi a un mutamento, a una nuova tappa della vita” qual è la vecchiaia, sempre purtroppo a rischio di cinismo, inaridimento, ripiegamento sterile su di sé o peggio ancora depressione. Un antidoto a tutto ciò, secondo Bianchi, sta innanzitutto nel coltivare (sottolineo e scrivo virtualmente in grassetto tale verbo) quello che i latini chiamavano l’otium, una sospensione o vacanza dai gravami del lavoro non riconducibile al mero dolce far nulla, ma ad un ozio: “che può essere vissuto cercando la quiete, aumentando il tempo per dedicarsi alla vita interiore”, come alla lettura, alle passeggiate, alla cucina e magari alla cura dell’orto, se ne abbiamo uno presso casa o abitiamo in un monastero che ne dispone, come Bianchi.

Altro, non secondario consiglio per invecchiare bene, è apprendere ‒ con gradualità ‒ a lasciare la presa; a coltivare non giusto solo l’insalata ma l’atteggiamento salutare: “del distacco, del saper prendere una distanza, dell’accettare di non poter più tenere in mano tutte le corde”. Ciò non significa affatto paralisi/impotenza, ma saggia presa di coscienza della realtà, senza che questo debba implicare vacui rimpianti nostalgici o inconcludenti piagnistei senili. Perché forse il nostro vero principale impegno ‒ non solo durante la vecchiaia ma ad ogni età ‒ dovrebbe essere quello di vivere al meglio ogni circostanza: hic et nunc, qui e ora, momento per momento sapendo bene che esso potrebbe rivelarsi quello all’insegna della dipartita conclusiva. E comprendendo quindi che ‒ concordo con l’autore del saggio ‒ “il puro e semplice fatto di vivere è una grazia, una benedizione, un miracolo, fosse anche l’ultimo giorno”.

  Enzo Bianchi è un uomo religioso, però la sua fede non è ingenua; anzi egli confessa quanto spesso, da vecchi, “la fede si spoglia, si fa nuda e spesso crescono i dubbi”; ciò nonostante nemmeno questo dovrebbe divenire motivo di desolazione. Neppure l’ineluttabile prospettiva della morte, a cui peraltro non solo chi crede in Dio può guardare con occhio sereno. Si tratta di coglierla quale processo naturale/universale più che un dramma privato/soggettivo. Allora l’exitus: l’uscita dall’esistenza ‒ da parte del vecchio come del giovane ‒ può venir vista come ritorno pacificato alla natura. È l’auspicio di questo anziano maestro di vita, che così auspica per ognuno di noi: “E la mia terra, la terra madre, accolga con le sue braccia spalancate chi a lei fa ritorno e vuole riposare nel suo grembo”.

Enzo Bianchi, La vita e i giorni. Sulla vecchiaia, il Mulino, Bologna 2018, pp. 138, euro 13,00.

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