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La quarta notte
di Francesco Roat
Nel suo ultimo breve ma intenso saggio ‒ intitolato La quarta notte ‒ Daniele Savino non esprime un mero atteggiamento pessimistico nel constatare come l’umanità stia ancora attraversando “i deserti del nichilismo”; egli è solo realista. Venute meno le ideologie, inascoltate le grandi narrazioni, proclamata (sin dai tempi di Nietzsche) la morte di Dio, la maggior parte degli individui della post-modernità (specie in Occidente) si muove tra indifferenza, cinismo e/o una svagata apatia, accontentandosi di “una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte: fermo restando la salute (Man hat sein Lüstchen für den Tag und sein Lüstchen für die Nacht: aber man ehrt die Gesundheit)” ‒ per dirla sempre con il filosofo di Röcken ‒ o drogandosi per mezzo di un’ipertrofica comunicazione/visione digitale che aliena la gente odierna sempre più dalla realtà.
Ed allora, come reagire, si/ci domanda Savino? E la risposta da parte sua ‒ poco speranzosa riguardo a un collettivo alimentato da slogan, populismo e chat ‒ è netta: “la reazione, almeno all’inizio, sarà un fatto individuale”. Non individualistico, tuttavia, ovvero narcisistico/edonistico, ma al contrario frutto di una scelta radicale che prenda le distanze dal sonnambulismo generale, per un risveglio autentico, creativo e generativo. Ciò al fine di poter nuovamente/felicemente aderire: “al mistero sacrale della vita che prende forma nella natura, partecipando a un destino in cui convivono generazione e corruzione, maturazione e putrefazione, metamorfosi storica del destino umano e continuità storica della Parola, oblio e memoria”.
Tramite, in primo luogo, una vis imaginativa poetico-poietica e profetica al contempo. Non solipsisticamente autocentrata, però, bensì aperta all’ascolto proveniente da un Altro/Altrove di cui oggi siamo del tutto privi. Si chiami esso Dio, mistero, natura naturans, o pyr (πῦρ): il fuoco originario eracliteo, poco importa; in quanto come ebbe ad osservare Goethe: “il nome è suono e fumo / che offusca l’ardore celeste (Name ist Schall und Rauch, / Umnebelnd Himmelsglut)”. Così, asserisce Savino: “Compito dell’uomo, un compito profetico, è attendere si riveli quel fuoco insieme alla sua ardente verità”; tenuto conto che si tratta non già di una banale, ottimistica speranza, ma di una spesso sofferta attesa fiduciosa, la quale però è già promessa/premessa di compimento.
Questa sofferenza deriva dal fatto che inevitabilmente il cammino del ricercatore spirituale, o del mistico, è impervio. Egli deve infatti attraversare una “notte oscura (noche obscura)”, per dirla con Giovanni della Croce, prima dell’arrivo dell’aurora. Ed una tale attraversata può certo provocare smarrimento/disorientamento, poiché la Luce pare non debba giunger più; ma è condivisibile quanto scrive il Nostro: “Non è il divino ad essersi smarrito, ma l’uomo smarrito ha lasciato che il divino si disperdesse senza nemmeno accorgersi di quello che stava accadendo”. Nella consapevolezza sottolineata da Martin Heidegger, che annunziò: “Ormai solo un Dio ci può salvare (Nur noch ein Gott kann uns retten)”.
Ma attenzione: il dio sia dei teologi che dei filosofi è appena un grande idolo; anzi un “tappabuchi” (Lückenbüßer) ‒ per dirla ancora una volta con Nietzsche ‒, da noi utilizzato allo scopo di turare le falle della nostra insicurezza/fragilità. Dio non è neppure un grosso Ente; semmai potremmo considerarlo la dynamis (δυναμις): la potenza che si esprime nell’universo (o multiverso che sia): dalle particelle subatomiche alle miriadi di galassie. Ma, se ci viene dal cuore, utilizziamola pur sempre questa antica parola Dio/Deus, da considerare comunque metaforicamente: cioè quale un segno che rimanda a ben altro rispetto al puro e semplice ambito linguistico. Un vocabolo affine al termine latino dies, che significa luce diurna e cielo. Rammentando infine quali furono le ultime illuminanti parole di Goethe prima del trapasso: espressive di quanto aveva ‒ abbiamo ed avremo tutti quanti ‒ bisogno: “Più luce! (Mehr Licht!)”.
Daniele Savino, La quarta notte, Nini Aragno Editore, 2024, pp. 107, euro 15,00
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