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“La guerra a casa tua è sempre inaspettata”: le parole di Cristina Ali Farah da Bruxelles in viaggio sulla Nave dei Libri

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Cristina Ali Farah è scrittrice e poetessa di padre somalo e madre italiana. È nata a Verona e cresciuta a Mogadiscio dall’età di tre anni fino al 1991, quando, a seguito allo scoppio della guerra civile in Somalia, si è trasferita all’inizio in Ungheria e poi in Italia. Il suo romanzo d’esordio, Madre piccola (Frassinelli) – sviluppato da un racconto vincitore del concorso Lingua madre al Salone Internazionale di Torino – si è aggiudicato nel 2008 il premio Elio Vittorini. Nel 2014 è uscito il suo secondo romanzo Il comandante del fiume, edito da 66thand2nd.

Sarà con noi sulla Nave di Libri per Barcellona 2016. All’indomani dei tragici avvenimenti di Bruxelles, le abbiamo chiesto di inviarci una testimonianza:

“Sono passati ormai 25 anni da quando ho lasciato Mogadiscio, la città pacifica e bellissima in riva al mare in cui sono cresciuta. Negli ultimi due anni, con il coprifuoco e gli episodi di violenza sempre più frequenti, imparammo a dare la pace come qualcosa non più di scontato. È un processo lento e complesso, ma di cui non vuoi essere mai pienamente cosciente. La guerra a casa tua è sempre inaspettata.
Quando la situazione era ormai ingestibile, nel gennaio 1991 lasciai la città con un gruppo di altre persone fortunate come me, in una nave militare italiana. Forse per questo, il legame con il mare, e questa nave immensa, piena di soldati giovani come me con un’enorme fiducia e speranza nel futuro, mi fa pensare alla nave dei libri come al coronamento di un sogno e un viaggio di ritorno ideale. Avevo 17 anni e un bambino appena nato. I militari erano così increduli e stupefatti di questo miracolo: ci fotografavamo tutti insieme.
Allora, dico, Bruxelles mi ha fatto improvvisamente ritornare a quegli anni. In Europa siamo abituati a dare la pace per scontata. Ma la pace è qualcosa di prezioso che va protetto e non dobbiamo mai dimenticarci che non dipende solo da noi. Ciò che dovremo avere di più caro al mondo è l’ empatia. E dimenticare i confini. Perché noi esseri umani più di tutto non desideriamo che essere al sicuro e restare insieme stupefatti per la meraviglia della vita. In questi giorni ci si sforza a dire che vittime e feriti  dell’ attentato di Bruxelles appartengono a 40 nazionalità. Questo credo sia il messaggio che conta. Siamo tutti collegati. Cosa significa abbattere una frontiera se non un’aspirazione, un ideale? Io credo davvero che quello che oggi sta succedendo in Occidente, anziché far chiudere le persone nel proprio individualismo reazionario, dovrebbe far capire che non sì può più ignorare il destino del proprio vicino per difendere il proprio angusto spazio, ma dobbiamo mescolarci e unirci, per mare e per terra e dialogare nella lingua nostra comune che è quella umana”.

 

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