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La filosofia come educazione degli adulti

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di Francesco Roat

Pierre Hadot, nei suoi scritti, ha sempre ritenuto che la filosofia dovesse essere lo strumento educativo per antonomasia. Filosofia non intesa però come mero studio della svariata serie di sistemi concettuali elaborati al fine di comprendere la realtà, bensì come la ricerca di una sapienza rispetto al vivere, in cui tutti dovrebbero impegnarsi ‒ non certo solo gli intellettuali o gli studenti liceali ‒; ricerca che era stata fatta propria giusto dai più antichi philosophoi greci, ovvero dagli amanti di una saggezza interessata, più che all’astrazione teorica, a come gestire e far gestire al meglio la propria e altrui esistenza. Non per nulla il termine sophia, precisa l’autore: “significava allora l’abilità, l’esperienza, il saperci fare in ogni sorta di ambito”.

Anche nel suo saggio pubblicato postumo ‒ La filosofia come educazione degli adulti ‒ Hadot ripropone questa sua concezione pedagogica del far filosofia non già come un’attività speculativa o, peggio ancora, accademica, ma come una sorta di ammaestramento inteso a migliorare la vita. L’autore francese cerca dunque di portare avanti una re-visione radicale della filosofia, riscoprendone il significato originario e il suo legame profondo con l’esistenza. Detto in parole povere, per Hadot la filosofia è un insieme di discorsi e pratiche destinate a trasformare le persone. Questa visione si distacca nettamente dalla tradizione moderna, che tende invece a vedere la filosofia come una disciplina esclusivamente teoretica.

Hadot sottolinea inoltre che i filosofi antichi, in particolare quelli delle scuole ellenistiche (stoici, epicurei, scettici), consideravano la filosofia come la messa in atto di veri e propri esercizi spirituali che imponevano un allenamento continuo delle facoltà psichiche, una cura per la propria anima e un impegno costante per raggiungere appunto la saggezza. Tali esercizi spirituali includevano attività come la riflessione sul proprio modo di porsi nei confronti di sé, degli altri e del mondo; infatti i filosofi si impegnavano in una costante autoanalisi, per comprendere meglio i propri difetti e limiti. Uno degli obiettivi principali era poi il dominio delle emozioni e dei desideri, per raggiungere la serenità interiore. Ad esempio, gli stoici vedevano la virtù come una forma di liberazione dalle passioni distruttive. Non da ultimo gli esercizi spirituali comprendevano anche momenti meditativi, i quali avevano per focus la comune condizione umana di precarietà e finitudine: vedi la platonica melete thanatou (l’esercitarsi a morire).

Insomma, come insiste a sottolineare Hadot: “Il filosofo non insegna agli uomini un mestiere particolare, e neanche li prepara a una professione particolare, ma cerca di trasformare la loro sensibilità, il loro carattere, il loro modo di vedere il mondo o di rapportarsi con gli altri uomini. Si potrebbe dire che insegna loro il mestiere di uomo”. E ancora, secondo la filosofia delle origini: “essere filosofo significa soprattutto sforzarsi di condurre una vita moralmente esemplare: insegnamento e vita devono coincidere. Non solo non è filosofo chi non conforma la sua vita al suo insegnamento, ma gli manca inoltre l’autorità necessaria per rendere credibile il suo insegnamento filosofico”.

In estrema sintesi: se il compito precipuo della filosofia è più quello di formare che non di teorizzare, allora davvero essa ‒ che era originariamente/giustamente intesa come coltivazione della saggezza ‒ deve venire considerata pure oggi quale indispensabile contributo alla educazione degli adulti.

Pierre Hadot, La filosofia come educazione degli adulti. Testi, prospettive, dialoghi, Marietti 1820, pp. 329, euro 32,00.

 

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