Lo Zibaldone - Recensioni
Il ritorno (o non-ritorno) di Flavio Santi alla poesia
La silloge intitolata Quanti, con la prefazione di Niccolò Scaffai, sul catalogo online, esordisce in chiave fantasmatica: “Il ritorno (o non-ritorno) di Flavio Santi alla poesia”. È comprensibile la titubanza della sua presenza, dell’affaccio sul pubblico della poesia, semmai si palesi. Ogniqualvolta un poeta valido si ripresenta con una nuova raccolta, ha già voglia di tornare nel proprio rifugio, in questo caso per Santi si tratta della campagna pavese, facendo finta che non sia capitato nulla, in più la pandemia agevola l’oblio, in modo da aumentare la probabilità che queste poesie possano conservare il pregio di essere riscoperte in futuro. Date, sottotitoli e sezioni sono alibi fragili che sottintendono la reale volontà di frammentarsi, di perdersi in atolli malconci e malinconici, tra zone strappate all’esistenza e ferite immaginate, quindi provate, non c’è un principio, non c’è una fine. Le poesie di Santi, all’interno delle proprie incompatibilità, seguono lo stesso filo stinto della sopravvivenza. Servono pochi versi per riconoscere lo spessore di un poeta, seppur redivivo, mi ricordano per certe movenze, quelli di Victor Cavallo, ma più austeri, più siberiani: “Ma io che vorrei / scriverti migliaia di / bronzee lettere, con una / busta aperta che a ogni / metro o chilometro variabile / si riempia delle cose: / ghiande da strada, balconi / andati all’aria, giberne / ghiacciate, fossati e / rammendi o anche frammenti così: / «Che storia e che / svolo, piccolo mio / appartamento, o randa o cucina, / dove dal soffriggere di cipolla o di mare / penso alle sue mani, / al suo sale». Anche così. // E per francobollo una nottola, / un cherubino, un animale, / un fine funerale”. Insomma Flavio Santi è tornato, ma non serve dirlo.
Flavio Santi
Quanti (Truciolature, scie, onde, 1999 – 2019)
pp. 106, euro 15,00,
ed. Industria e Letteratura, 2020

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