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Il divino Platone
di Francesco Roat
È senz’altro degno di attenzione il bel saggio di Stefano Cazzato intorno al Platone mistico e a quella che l’autore indica come la terza navigazione del grande ateniese, da questi effettuata dopo aver esplorato il percorso filosofico dei naturalisti, detti pure fisici o ilozoisti, della scuola di Mileto (Talete, Anassimandro ed Anassimene) ‒ che andavano appunto alla ricerca d’un principio fisico quale origine delle cose ‒, e dopo l’annoso tragitto orbitale intorno all’astro Socrate: tutto dialettica, astrazione concettuale, logos imperante. Così Platone, secondo Cazzato, dopo la morte del maestro intraprende una nuova via all’insegna del misticismo, nel tentativo di compiere un’ascesa verso la dimensione ineffabile del divino.
Navigazione che utilizza ancora la parola, preferendo tuttavia al logos il mythos, per un viaggio metafisico nel senso proprio del termine; in grado cioè di procedere sia oltre l’empirico che oltre il logico. Itinerario il quale si concretizza parallelamente in una serie di viaggi del cuore, destinati a far approdare il Nostro a Helios d’Egitto, Taranto, Siracusa, Cirene e Megara, in: “cerca di un altro luogo, che è un luogo dello spirito, una patria esistenziale, più che una meta geografica”; cioè presso ambienti/ambiti dove ancora perdurava: “una concezione iniziatica ed esoterica della vita e del pensiero”. Quasi a ribadire la netta presa di distanza dall’antico maestro, che si fa lontananza non solo intellettuale ma anche esistenziale ed esperienziale, per incontrare altresì non già i sedicenti filosofi ma i veri sapienti, come ad esempio Imoteph: visir del faraone Gioser, noto per i suoi detti poetici sull’aldilà.
A Taranto Platone incontra poi una comunità pitagorica alquanto esoterica, guidata da Archita; quindi sarà la volta di Siracusa, città presso la quale, in seguito, approderà altre due volte, per tornarsene quindi a casa deluso dalla politica e dall’illusione di poter trasformare il tiranno Dionisio II in un regnante-filosofo. A Cirene ‒ nota ancora Cazzato ‒ Platone s’imbatte in una forma di religiosità “ispirata al sincretismo orientale, in riti iniziatici dionisiaci, orfici e d’altro tipo”, ed infine a Megara ‒ prossima ad Eleusi, celebre per i suoi culti misterici ‒ egli deve aver abitato una dimensione spirituale particolarmente affine alla sua anima contemplativa, poetica e poietica.
Frutto più sostanzioso di questi viaggi è allora il ricongiungimento con una tradizione sapienziale mai in lui del tutto sopita e che riemergerà con forza nell’ultima parte della vita del filosofo, via via sempre maggiormente incline “alla meditazione solitaria”, al ritiro nella propria interiorità, all’ascesi e, non da ultimo, al rifiuto di scrivere intorno a questioni ontologico-metafisiche. Cazzato c’invita inoltre a rileggere con attenzione la platoniana Lettera Settima, da cui emerge non soltanto una chiara sfiducia “nel potere dei discorsi e dei ragionamenti, soprattutto se scritti”, ma dove il Nostro viene ad enucleare quelli che, a suo avviso, rappresentano i cinque gradi della conoscenza. I primi quattro, costituiti da: nomi, definizioni, immagini, e dalla conoscenza intellettiva di tipo logico-razionale non ci permettono di giungere alla verità incontrovertibile/inoppugnabile, la quale nell’ultimo quinto grado emerge assumendo piuttosto la natura della scintilla (exaphthen phos) ‒ derivante dal cozzo tra i gradi minori ‒ che nasce all’improvviso (exaiphnes) e fa chiarezza. Ma comunque lo si voglia definire, si tratta di un sapere non già discorsivo bensì intuitivo, che ha giusto la caratteristica d’una illuminazione mistica.
Per meglio far comprendere come Cazzato abbia interpretato con finezza e acume esegetici questo passaggio della Lettera Settima, diamogli direttamente la parola: “Il logos ci porta fino a un certo punto ma poi ci abbandona. Ci lascia a metà strada, o poco più avanti. È nella sua natura superarsi, oltrepassarsi, arrendersi. Cessare di essere dianoesi, pensiero deduttivo, per convertirsi o rinascere sotto forma di noesis, cioè di visione o di illuminazione (se poi la visione sia ancora una forma di pensiero c’è naturalmente da chiederselo). Il logos è, nel migliore dei casi, soltanto scienza, al servizio di quella sapienza che non è banalmente esercizio razionale, uso tecnicamente corretto ed eticamente diretto delle facoltà umane, ma visione di fenomeni della vita, una visione che […] è molto difficile da raggiungere nel corso dell’esistenza terrena viziata dall’imperfezione e dal male”.
Concludendo, dall’analisi di questa Lettera cruciale, oltre ad un ridimensionamento del pensiero logico-discorsivo, di un’ottica meramente razionale, possiamo dunque notare gli accenni alla necessità/urgenza di una visione altra, che ci permetta una condizione estatica. Quasi a suggerire: alla radice della filosofia c’è l’io, al fondo della mistica c’è Dio. In parallelo infine, emerge da tutto il lavoro di Cazzato l’invito a riconsiderare la cosiddetta mitopoiesi platonica ‒ così riccamente poetica, allusiva, simbolica e metaforica ‒ non solo/tanto una mera narrazione prelogica bensì una modalità ingegnosa utilizzata per poter traghettare il pensiero tramite il mythos oltre il logos, onde farlo ascendere, dice bene l’autore del saggio: “dalla terra al cielo”.
Stefano Cazzato,
Il divino Platone. Filosofia e misticismo,
Moretti&Vitali, 2022,
pp. 128, euro 14,00
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