Lo Zibaldone
Poesie mistico-amorose
di Francesco Roat
Hadewijch di Anversa, chi era costei?
Assai poco purtroppo a tutt’oggi sappiamo di questa donna vissuta tra il XIII e il XIV secolo, se non che fosse scrittrice, poetessa e probabilmente una beghina, appartenente cioè a quel movimento medioevale di donne religiose (mulieres religiosae) non facenti parte d’un ordine monastico specifi-co, ma intese a praticare una vita all’insegna del dettato evangelico. Le beghine però si caratterizza-vano per scelte di vita sociale assai dissimili tra loro. Molte operavano all’interno di grandi comunità, altre erano associate in piccoli gruppi nei pressi di ospedali e/o lebbrosari, altre ancora erano itineranti e senza fissa dimora. Nei cosiddetti beghinaggi – degli pseudo conventi ‒ esse venivano affidate alle cure di una magistra che provvedeva alla loro istruzione: soprattutto di carattere spirituale. Alcune, come appunto Hadewijch, furono autrici di testi notevoli, sia dal punto di vista letterario che teolo-gico-filosofico. Basti qui citare altri tre nomi significativi, più o meno strettamente legati al mondo beghinale: Beatrice di Nazareth, Matilde di Magdeburgo e Margherita Porete.
Tornando ad Hadewijch, va precisato che la sua poesia mistica ‒ come scrive Francesca Barresi, la curatrice della prima edizione italiana integrale dei Canti ‒: “segna il punto, nella storia dell’amore, in cui l’elemento sacro e quello profano s’intrecciano”; inoltre, grazie ai suoi versi d’indubbia bellez-za/saggezza, tale opera: “considerata fluente, armoniosa, ricca, rapsodica” dalla unanimità dei critici, rappresenta forse la più interessante testimonianza fra i primi testi lirici in lingua neerlandese. Ma non è questione solo di letteratura, di forma, in quanto i 45 Canti della misteriosa poetessa di Anver-sa utilizzano il tema d’un amore a prima vista solo passionale per alludere a quello spirituale. Si tratta quindi di una pedagogia, anzi di una vera e propria mistagogia del discorso amoroso.
Ma cos’è davvero l’amore (la Minne), questa forza propulsiva, questa tensione che ci anima e che secondo Hadewijch costituisce il cardine della vita spirituale? Potremmo rispondere che per l’autrice tale vocabolo si riferisce al contempo a chi ama, a chi viene amato e a Dio, tenendo conto di quanto afferma la prima epistola giovannea: “Dio è amore” (ho theos agape estin) ‒ 1Gv 4,8 e 1Gv 4,16. Perciò è da sottoscrivere quanto osserva a questo proposito il teologo McGinn nella sua Storia della mistica cristiana in Occidente, notando come la Minne sia da intendere come una sorta di fiume che ininterrottamente fluisce da Dio ed in parallelo: “riconduce tutte le cose alla loro origine divina”.
Quindi è possibile considerare l’ascesi spirituale un ritorno/ricongiungimento al divino da cui l’anima proviene e di cui avverte la presenza entro quello che Meister Eckhart ebbe a chiamare il “fondo dell’anima” (grunt der sêle). Va aggiunto che per Hadewijch vi è stretta coincidenza tra vita e amore, tra l’esistere stesso e l’energia che lo informa. Non si pensi però a una visione del mondo idilliaca/ingenua da parte di questa filosofa che invece sottolinea la consapevolezza di come l’esperienza esistenziale/amorosa esprima una tensione tra due polarità: presenza e assenza. Così ‒ nota ancora la curatrice del libro ‒: “Hadewijch utilizza i verbi di fruizione (ghebrueken) e mancanza (ghebreken)”; infatti: “consolazione e castigo insieme / questa è l’essenza del gusto dell’amore”, tro-viamo scritto nel Canto XXXI.
L’estasi amorosa va dunque di pari passo con la notte oscura dell’anima, per dirla con un altro grande mistico: Giovanni della Croce. C’è allora bisogno di superare gli opposti grazie ad una dialet-tica spirituale che ci faccia giungere a una sintesi trasformatrice, all’unità, alla beatitudine costituita da un mutamento radicale, per cui ‒ leggiamo nel Canto XXVIII ‒: “ciò che prima erano due / ora è uno”. Tuttavia è assai impegnativo il percorso mistico che ci permette di pervenire a tale traguardo. Esso è costituito dal far nostri l’accettazione della sofferenza, la spoliazione dell’egoità, l’annullamento della volontà/velleità d’ogni appropriazione, conseguimento, controllo.
Ed ora cessino i commenti e venga lasciata piuttosto l’ultima parola alla voce poetica di Hadewijch, alla sua potenza immaginifico-metaforica che permette intuizioni sublimi, come questa, tratta dal Canto XXVI: “Ma si raccontano meravigliose meraviglie / di chi si avvia al libero amore / e lungo la via non fallisce, / legandosi tutto all’amore / e sopportandone i dolorosi inganni. / Perché hanno ab-bandonato se stessi, / pronti ad attraversare ogni cosa, / senza risparmiarsi in nulla, / solo per soddi-sfare l’amore. / Nel timore mortale, / perché non gli sfugga / il sommo bene dell’amore”.
Hadewijch di Anversa, Canti, Marietti 1820, 2022, pp. 239, euro 19,00
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