Lo Zibaldone
Florenskij, chi era costui?
Purtroppo non molti lettori italiani conoscono gli scritti di questo singolare pope russo (al contempo insigne matematico, scienziato, filosofo, teologo ed altresì mistico) che dopo esser stato deportato prima in Siberia, quindi nell’infernale lager delle isole Solovki, verrà infine fucilato nel 1937. Eppure da anni le sue opere sono tradotte in svariate lingue e l’epistolario florenskijano – che raccoglie le lettere inviate alla famiglia dal gulag – ha conosciuto un inaspettato successo editoriale a livello internazionale. Resta il fatto che da noi tale autore rimane a tutt’oggi praticamente sconosciuto al grande pubblico. Mi sembra dunque degno di nota e davvero encomiabile il recente e puntualissimo saggio di Silvano Tagliagambe: Come leggere Florenskij.
Testo che rappresenta un’interessante introduzione al pensiero del multiforme scrittore russo: uomo estremamente religioso e convinto che tutti noi si debba in maniera costante/indefessa dir sempre sì alla vita, accogliendo di buon grado qualunque cosa essa rechi con sé: sofferenza e morte comprese. Modalità spirituale/esistenziale che ricorda tuttavia assai da vicino l’insegnamento dell’ateo Zarathustra nicciano, per non parlare di quello stoico, culminante nell’amor fati, che esula da qualsiasi credo fideistico. In ogni caso l’accettazione integrale propugnata da Florenskij lo colloca senz’altro tra i mistici d’Occidente che, a partire da Meister Eckhart, hanno sempre fatto di tale presupposto imprescindibile l’a-priori d’un itinerario ascetico volto a liberare l’uomo dall’egoità: vista quale ostacolo principale all’autentica realizzazione spirituale.
Realizzazione che per il Nostro equivale a una paradossale forma di libertà raggiungibile attraverso un distacco volto a liberarci dalla coppia speculare e coercitiva rappresentata dall’attaccamento e dall’avversione; riuscendo così a fare in modo che tutto quanto accade finisca per esser colto da noi quale bene: come una sorta di dono. Attraverso il suo sguardo contemplativo sul mondo, tramite un’ottica non pregiudiziale, Florenskij osserva gli accadimenti in un orizzonte inedito che gli permette di essere davvero libero, proprio perché non trova più niente da rigettare e/o a cui opporsi, riuscendo a raggiungere una sorta di mistica unità con tutto quanto esiste. La conseguenza di tal modo di porsi è una commossa, stupita e grata meraviglia per la bellezza del Tutto.
Scontato che una prospettiva come quella suggerita dal Nostro non possa limitarsi alla mera concezione del mondo positivistica imperante nella Modernità. Secondo l’eccentrico pope russo la religione risulta l’unica via in grado di aprirci ad una visione non miope del mondo ma onnicomprensiva/globale. Una religione non dogmatica e non basata sulla credenza ma sulla fede/fiducia: nella vita innanzitutto o nella sua fonte: che alcuni chiamano natura, alcuni altri Dio. Da cui la necessità di ospitare/inaugurare un pensiero altro rispetto a quello basato sulla sola ratio e capace di accogliere tutti gli ambiti paradossali ed apparentemente inconciliabili, le antinomie e i molteplici tratti discordanti che contraddistinguono la vita. Un pensiero che, a livello etico, esca una volta per sempre dalla dicotomia manichea tesa a scindere ogni aspetto in bene e in male; giacché, secondo Florenskij, è giusto la divisione stessa ad essere opera del diavolo (termine che deriva dal greco antico [dia] attraverso, e [ballo] metto; ossia separo, creo fratture), di chi intende separare l’uomo da Dio, dall’Unità.
Si tratta, al contempo, di disporsi ad accedere a una sorta di spazio quadrimensionale ove tutto è connesso a tutto. Tale disposizione – va ribadito – è precipua del mistico; però anche l’individuo ordinario ha comunque la possibilità di un accesso a una dimensione meta-fisica: quella onirica, in cui l’uomo abolisce, oltre il tempo, ogni altra categoria logica fluendo dal futuro al passato, dal visibile al non-visibile, dall’effetto alla causa e ritrovando la gratuità/libertà propria del bambino. Occorre perciò, a detta di Florenskij, tornare evangelicamente fanciulli per poter accedere alla verità ossia al cristico regno dei cieli, ritrovando l’innocenza paradisiaca perduta. Non tramite un’inauspicabile regressione puerile, ma attraverso uno stupore entusiastico – letteralmente: caratteristico di chi ha dentro (en) Dio (theos) – che è principio inaugurale della conoscenza.
Ma non basta certo la conoscenza d’alcun genere o portata a realizzarci appieno; né la volontà (di potenza) che ci spinge a controllare/signoreggiare il non-Io. È l’amore, sostiene Florenskij, che conduce alla vera compiutezza attraverso il gesto di apertura/disponibilità fraterna al Tu. Di conseguenza il perfezionamento di sé diviene ars primaria, compito esistenziale mai compiuto e mai delegabile. Lavorare a tale impegno è far della nostra vita un’opera d’arte che non conosce definitiva realizzazione, semmai una continua rielaborazione. Esso comporta inoltre la promozione di un pensiero all’insegna della più ampia apertura. Pensiero che necessita d’un linguaggio capace di abbracciare le opposte polarità, gli aspetti ancipiti, contraddittori o ambigui del reale e le sue differenziazioni sottili, mai riducibili a uniformità di comodo o definibili mediante algoritmi rassicuranti.
Utilizzando il simbolo – termine derivato dal greco syn (insieme) e ballo (metto) – e la sua capacità di relazionare i vari piani dell’essere – Florenskij ritiene si possa giungere a una visione organico-unitaria del mondo. A suo avviso, però, non è l’uomo a creare i simboli bensì essi emergono archetipicamente dalla coscienza universale per una sorta di necessità interiore, rappresentando delle strutture eterne che si potrebbero considerare un dono/lascito divino. Ma, a ben guardare, è il linguaggio stesso ad essere simbolico in quanto l’essere umano con la parola cerca – come già compresero gli antichi filosofi greci – di unire l’en (uno) con i polla (molti), crea concetti condivisibili, organizza una grammatica che ci permette la comunicazione e la comprensione reciproche.
Secondo il Nostro, infine, simbolo per antonomasia è quello cristiano della Trinità, da lui ritenuta unisostanziale (termine che esprime al contempo la distinzione delle Tre Sacre Persone e la loro unitaria sostanza divina) e riferibile, in quest’ottica, non solo alle figure del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma pure indicativo della paradigmatica struttura triadica che permeerebbe tutto quanto il cosmo. Ipotesi, questa, alquanto problematica e, a mio parere, oggi denotata da assai scarso appeal; ma che non pregiudica l’indubbio fascino d’un pensiero capace di muoversi con vivacità esemplare tra mistica e scienza, tra poesia e filosofia.
Silvano Tagliagambe,
Come leggere Florenskij
Mimesis 2021
pp. 294, euro 22,00
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