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Ecco la mia storia: un importante documento inedito ritrovato nell’Archivio privato Primo Levi
Di Alessandra Sofisti
Il 27 aprile 1945 Privo Levi , da poco liberato, scrive da Katowice (Polonia) all’amica Bianca Guidetti Serra ( Torino, 19 agosto 1919 – Torino, 24 giugno 2014): “ecco un riassunto della mia storia”. Levi racconta dell’anno di schiavitù a Monowitz dopo la partenza in 600 dal campo di smistamento di Fossoli . Dei 95 “scelti” per il campo di lavoro, solo 6 sono sopravvissuti. Gli altri per lo più sono morti di malattie o di stenti o uccisi perché inabili al lavoro. Cita Lorenzo Perrone, la cui storia è stata pubblicata nel 2023 nel libro “Un uomo di poche parole: storia di Lorenzo che salvò Primo” di Carlo Greppi. “Io ho potuto mantenermi in salute (e relativamente!) in forze, grazie alla generosità senza pari di Lorenzo Perrone, un muratore di Fossano che oltre a permettermi di comunicare con i mie, mi ha portato quasi quotidianamente per 6 mesi il cibo che detraeva dalla sua misera razione. Per 9 mesi il lavoro è stato una tortura quotidiana (una spaventosa schiavitù) e comunicare con Perrone era per me e per lui un grave rischio.” La lettera diario continua entrando nei dettagli. “Solo negli ultimi 2 mesi di novembre e dicembre sono riuscito a piazzarmi al coperto in un laboratorio. L’11 gennaio ho preso la scarlattina e sono stato ammesso all’infermeria del campo. Il 17 gennaio il campo intero è stato evacuato: noi malati siamo stati abbandonati a noi stessi; le SS hanno deportato all’interno tutti i sani e dopo 48 ore di marcia ininterrotta li hanno tutti trucidati. Il 27 gennaio siamo stati raggiunti dai Russi. In 10 giorni un quarto di noi malati era morto di fame, di freddo o per mancanza di cure. La mia convalescenza è stata lunga, interrotta da numerosi traslochi (trasferimenti).” Nel campo russo dove si trova, Levi lavora come infermiere volontario, gode di una certa libertà, mangia e dorme bene e si è rimesso ottimamente in salute. E’ in attesa con ansia del giorno del rimpatrio e solo da poco ha saputo che anche Torino è libera. Ringrazia l’amica Bianca per le due lettere e il pacco, spera che la madre e la sorella Anna Maria siano vive in Italia e abbiamo conservato rapporti con lei. Al termine della lettera scrive l’indirizzo di Kattowice, dove si trova dopo la liberazione e i nomi dei 5 sopravvissuti del suo convoglio partito da Fossoli: dottor Leonardo Debenedetti di Torino sfollato ad Asti, Luciano Mariani di Venezia, Eugenio Ravenna di Ferrara, dottor Aldo Moscati di Livorno, avvocato Remo Jona di Torino. Chiede all’amica di notificare i nomi ai rispettivi interessati. L’appello accorato è di ricevere presto notizie da tutti i suoi cari, perché dall’Italia ciò che si viene a sapere è molto vago. Nel tragico post scriptum, che conclude l’accorata lettera, Levi scrive a Bianca che dopo la liberazione ha avuto notizie di Vanda (Maestro) e Luciana (Nissim Momigliano). La prima morta di dissenteria nel campo di Birkenau, la seconda inviata come medico in un campo presso Breslavia. Franco Sacerdoti di Torino e Alberto Dalla Volta di Brescia hanno seguito la sorte dei più. E’ quasi certo che non si siano salvati. Conferma che ha trovato lì Elsa Levi di Isacco ma che poi l’ha persa di vista. Domenico Scarpa, critico letterario, docente, sulla Lettura del Corriere della Sera del 19 gennaio 2025, scrive che il 27 aprile 1945 stabilire una comunicazione attraverso mezza Europa in armi, inviando una lettera da Katowice ( Polonia) a Torino, era una scommessa con scarse probabilità di riuscita. La lettera invece arrivò a destinazione, ma rimase ignota fino ad oggi. Un foglio grigiastro, scritto a matita su ambedue le facciate, sfruttandone tutta la superficie senza lasciare margini da nessun lato è emerso, 80 anni dopo, dall’Archivio privato di Primo Levi. E’ la prima lettera completamente inedita che Levi abbia spedito in Italia dopo la sua liberazione da Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945, quando i soldati dell’Armata Rossa raggiunsero il più importante dei Lager nazisti. Primo Levi poté rivedere la sua casa di Torino e la sua famiglia solo il 19 ottobre 1945, dopo oltre 8 mesi e svariate migliaia di chilometri percorsi in peregrinazioni. A Katowice, equivocando sulla qualifica di “doktor” Levi si mise alle dipendenze dell’infermiera siberiana Maria Fjodorovna Prima, con l’incarico di redigere i verbali dell’ambulatorio, che dettava in tedesco per venire subito tradotti in russo. Nel libro La Tregua (1963) racconta che proprio con quella matita e su un foglio sottratto alla cancelleria sanitaria scrisse la lettera che ora è esposta a Torino alla mostra a Palazzo Madama “Giro di posta: Primo Levi, le Germanie, L’Europa” dedicata a Primo Levi – inaugurata il 24 gennaio è visitabile sino al 5 maggio 2025.

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