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Diario dei giorni di quarantena a Vo’ Vecchio
Mariachiara Peron vive a Vo’ Vecchio, frazione di Vo’ Euganeo (PD), zona in cui è stato individuato un focolaio di Covid-19. Ci manda il suo diario dei giorni di quarantena, con qualche riflessione personale, che noi pubblichiamo volentieri
Venerdì scorso, dopo essermi resa conto che Vo’ Vecchio, frazione di Vo’ Euganeo, il tranquillo paesino in cui vivo, situato ai piedi dei colli Euganei e semisconosciuto al resto del mondo, era diventato l’epicentro veneto del contagio da Coronavirus, le domande che mi pongo sono tante e sempre ripetute: per quanto tempo non potremo uscire da qui? Quando torneremo alla normalità?
Vedo la nostra vita in isolamento raccontata dai telegiornali e mi chiedo se è davvero come la descrivono o se ci sia una spettacolarizzazione.
Mi affaccio alla finestra, seguo con lo sguardo il corso del canale che mi porta fino a un gruppo di militari e a qualche transenna che segna il confine tra noi e il resto del mondo. Mi dico che è proprio vero: da qui non si può uscire.
Le strade sono deserte, le saracinesche abbassate, il bar pizzeria di fronte a casa, da cui ogni sera mi arriva il vociare dei clienti, è buio e silenzioso. La piccola piazza di fronte alla storica chiesa di san Lorenzo è vuota. È chiusa anche la seicentesca Villa Contarini Giovanelli Venier, oggi luogo di interesse artistico-culturale e durante la seconda guerra mondiale tragico campo di concentramento. Mancano i visitatori e i turisti di passaggio che di solito si fermano per scattare qualche foto.
La mia quotidianità è scandita da occupazioni normali: il lavoro al computer, qualche passeggiata, qualche lettura. Nulla di straordinario, anche se quel che ci arriva “da fuori” è tutto meno che consueto. Seguo con un misto di apprensione e di distacco le notizie diffuse dai programmi televisivi, le notizie ufficiali e quelle ufficiose, quelle veritiere e quelle fasulle, le opinioni che si trasformano in certezze nella piazza virtuale “Vo’informa”, la chat WhatsApp dei cittadini di Vo’. A volte mi sembra che il panico e la sua rappresentazione diventino una forma di intrattenimento, un modo per sentirsi parte di un gruppo, di un’esperienza unica. C’è chi si preoccupa per quello che sta accadendo, per le persone risultate positive al test; c’è chi sminuisce la serietà della questione, ripetendo che si tratta di una “banale influenza”; c’è chi non perde l’occasione per condannare in modo severo le misure prese dalle autorità perché danneggerebbero fortemente l’economia locale. C’è, inoltre, un fitto scambio di informazioni di tipo pratico: dove poter andare a fare la spesa, quando poter andare a fare i tamponi, come poter contattare il medico di base… Ognuno, insomma, dice la sua, ognuno vuole proclamare la propria verità.
Nel mio isolato rifugio ascolto e leggo. Ogni tanto mi sporgo per parlare con i vicini di casa, cerco di farmi un’opinione ma resto incerta e perplessa. Penso che questa nuova situazione, nella quale i comportamenti di molti sono caratterizzati da suggestioni ed esternazioni a volte ingenue, a volte esagerate, spesso marcate da atteggiamenti esibizionisti di persone che vedono questa circostanza come un’opportunità per farsi conoscere, induce comunque al confronto e al dialogo, crea occasioni di scontro ma anche di confronto, genera un nuovo senso di solidarietà. Nasce, nel bene e nel male, una forma di cooperazione tra individui e di partecipazione a una “cosa comune”. Servirebbero, questo sì, maggiori compostezza, prudenza, moderazione, valori che conferirebbero una consistenza ancora più grande alle manifestazioni positive.
Sono quasi le undici di mattina, esco di casa, passeggio sull’argine del Bisatto, vedo il Sindaco che rilascia un’intervista a una troupe televisiva sull’altra sponda, a qualche metro, ma fuori Comune.
Nel pomeriggio andrò nel centro di Vo’, siamo stati contattati dall’autorità sanitaria.
Oggi anche gli abitanti della frazione di Vo’ Vecchio potranno essere sottoposti all’analisi del tampone.
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