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Lo Zibaldone

Desperate Writers, ovvero l’arte di scrivere secondo Bruna Graziani

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Leggere:tutti intervista Bruna Graziani, autrice di ‘Desperate Writers’ e diretttrice di CartaCarbone Festival

 

D: È possibile “insegnare” a scrivere? È sufficiente avere qualcosa da dire per essere capaci di dirlo, catturando l’attenzione di chi legge?

R:Nessun autore scrive spontaneamente. Anche la prosa più semplice è frutto di un lavoro impegnativo. Con questa collana, io sono partita dalle basi. Ho una scuola di scrittura a Treviso, Il Portolano, e ho stilato nel tempo la lista dei “vizietti” più frequentati nella scrittura. Tutti hanno cose belle da raccontare e tutti possono farlo. Ma bisogna avere la pazienza di imparare a usare gli attrezzi del mestiere. Curare le interpunzioni, ad esempio, o liberarci dal peso di aggettivi e avverbi, insaporire con i sensi, i dettagli, una metafora al posto giusto, se serve. Insomma anche la scrittura ha bisogno di amore. Se la tratti bene, la scrittura ti restituisce dei tesori che splendono sotto gli occhi di tutti.

D: Che storie raccontano i tuoi corsisti?

R: Raccontano di tutto. Una domanda che mi sento fare spesso: “Ma vale la pena parlare di questo argomento? Non è insignificante?” Di cosa raccontavano Carver, Cechov, O’Connor? Nessuna epica nelle loro narrazioni. Ma un occhio lungo e una grande tecnica. Qualità che si può acquisire. Fai parlare Mario Rossi della blatta che si è ritrovato sotto il letto e fai parlare Kafka. Uno scarafaggio è uno scarafaggio, no? Eppure… Per dire che esprimere un concetto efficacemente è tutto. Una ninna nanna, suonata con uno Steinway può far venire la pelle d’oca. Di contro, ti sfido a suonare la Nona di Beethoven con un pianoforte a cui mancano 13 tasti.

D: Perché Desperate? 

R: Per mettere a disposizione l’esperienza di anni di laboratori di scrittura e mostrare come alcuni accorgimenti, consigli pratici e facilmente applicabili, possano trasformare un testo rendendolo più vivido e appassionante. In quest’ottica nascono i “Desperate”, ironicamente chiamati così perché comunque scrivere è difficile, a volte una disperazione. Nel primo (“Vademecum per scrittori irriducibili”, Kelermann 2012) parto dalle basi: tre puntini, virgole, punti esclamativi, insettucoli facilmente eliminabili con un colpo di flit. E poi mi addentro nei meccanismi. Dando per scontato che le cose non sono mai date una volta per tutte. Anche Flaubert si arrovellava per trovare la parola giusta. E a volte si lamentava. E se lo faceva lui, siamo autorizzati a farlo anche noi. Ma non siamo autorizzati a rinunciare a cercarla.

 

D: Bene da dove si parte? 

R: Per me è sempre dall’autobiografia che si deve partire. Analizzando in profondità la tua vita acquisisci strumenti interpretativi sulla realtà che ti circonda. E uno scrittore deve avere questa predisposizione: cercare di vedere cosa c’è oltre. È l’oltre che interessa e però all’oltre si arriva attraverso vie molto concrete, alcune visibili e altre meno.

D: Perché “Personaggio” e “Racconto breve”?

R: Non esiste storia senza personaggio. Tutti ricordiamo Madame Bovary, Anna Karenina, Montalbano, Mattia Pascal,  a volte più delle loro vicende. Per fare esperienza, consiglio di partire da ciò che ci circonda. Attorno a noi ci sono vicende e persone a bizzeffe candidate a diventare storie e personaggi. Che se non vengono descritti, sono destinati a perdersi per sempre negli abissi della memoria. Un vero peccato, no? La scrittura è condivisione. Tutta la nostra vita lo è. Il personaggio è un progetto umano. È già di per sé una storia. Raccontare è un istinto primario, sopravvissuto all’evoluzione, è arrivato fino a noi e, è destinato a superarci e a continuare il suo cammino fluido, mescolandosi al prodigio della vita. Tanto vale farlo bene. Misurarsi in una narrazione breve non significa che sia più facile ma quanto meno si riesce a controllare meglio, a lavorare nel dettaglio in ogni sua parte. Un’ottima palestra per chi inizia a scrivere.

D: Qual è la cosa più difficile da rendere?

R: La bellezza di un racconto sta nell’armonia di tutti i suoi elementi. Per ogni racconto riuscito, si è compiuto un piccolo miracolo. Non sempre decifrabile. Ma di sicuro, è importante la capacità di creare un personaggio e dargli spessore, ad esempio attraverso contraddizioni e conflitti. Soprattutto rappresentare le emozioni. Che non si possono semplicemente enunciare ma si devono mostrare: un personaggio parla attraverso quello che fa più che attraverso quello che dice. Show don’t tell: concetto che si troverà all’ossessione in tutti e tre i Desperate.

 

 

 


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