Lo Zibaldone
Del dirsi addio
di Valerio Calzolaio
Bolzano. Gennaio 2017. Gea Bomoll aveva visto il padre molestare suo fratello gemello Lilo, aveva testimoniato come chiesto dalla zia, c’erano altre prove. Fu affidata alla famiglia Ludovisi che abitava molto distante da dove era nata, Lilo scomparve, la zia partì, il padre si uccise. Crebbe con Nicola, figlio dei Ludovisi; anni dopo si sposarono ed ebbero un figlio straordinario Michele, delicato e iperdotato; presto a scuola capirono che era troppo intelligente per la sua età, si domandavano che fare. Una sera, tornando a casa dopo una cena in un buon ristorante dell’Alto Adige, dubbiosi si fermano a fare pipì e Michele scompare, ha 11 anni, nessuno capisce come sia stato possibile. La polizia viene chiamata dal parroco locale, don Giuseppe. Arrivano l’arguto atletico commissario Sergio Striggio e l’ispettore capo Elisabetta Menetti, c’è molto che non quadra ma non hanno indizi, la vicenda via via s’intorbida. Striggio ha quasi 34 anni, è originario di Bologna, lenti a contatto, niente tv a casa, bipolare scrittore dilettante, figlio d’arte e gay; non ha mai fatto proprio outing, pur esitando sa di doverlo dire al padre malato (l’amata elegante madre è morta da tempo, da poco anche la successiva terza moglie di Pietro); ormai da un po’ ama molto e convive spesso con lo splendido bravo maestro elementare Leonardo Leo Pallavicini, barba nera e occhi azzurri, corpo liscio e asciutto, più giovane (sette anni e mezzo), conosciuto quattro anni prima a Bologna nel bar dove lavorava, mentre lui era ispettore capo alla Scientifica, fidanzato con la magnifica Laura. Menetti è acuta sensibile e bella, vive sola libera e con la coda, già Miss Liceo Scientifico, si sente invaghita del capo in modo profondo e (anche auto) ironico. Devono capire gli amori (e la pedofilia?) del presente e del passato.
Una delizia ai corposi margini di ogni genere l’ultimo romanzo dello straordinario scrittore sardo-bolognese Marcello Fois (Nuoro, 1960), in terza varia con i pensieri di ogni innamorato turbato. Da ormai trent’anni Fois è uno dei più importanti grandi autori italiani, ogni nuova opera lo conferma. Qui torna il solito stile acuto, colto, pastoso; una scrittura piena di rimandi all’immaginario visivo e sonoro di gesti e relazioni. Cadaveri e crimini aleggiano in una piena letterarietà diversa dal “giallo” o anche dal “noir”. Non il pretesto del “genere” ma l’investigazione come condizione umana. Il perno sono le molteplici relazioni a due, in tutte le declinazioni dell’amore, diversamente reciproche: omosessuale, maschio-femmina, marito-moglie, padre-figlio, madre-figlio. Ecco il titolo: ci si può dire addio? E come? Solo con la morte? E, comunque, ci si può preparare? O, a un certo punto, basta dirlo? La stagione del contesto è quella della ostinata impetuosa neve bianca (in copertina) che isola e offusca, cancella e nasconde, chiarisce e schiarisce. La narrazione avanza attraverso il filo dei quattro elementi della poliedrica cultura greca, uno per ogni lungo capitolo: terra, fuoco, acqua, aria; intervallando dense pagine di coerente pertinente pura fantasia, con innesti poetici, musicali, cinematografici, drammaturgici. Segnalo il pensare alle latrine di Birkenau come metafora dell’orrenda crudeltà di certe delicatezze apparenti, il detestare quel genere di frasi che si attaccano al contingente ma si riverberano su tutto il resto, il piangere facile degli uomini che si sono capiti (qualunque sia la cosa che hanno capito di sé). Tutto molto bello.
Del dirsi addio
Marcello Fois
Einaudi, 2017
Pag. 305 euro 20,00

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