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Categorie italiane
Giorgio Agamben inizia a interessarsi alla definizione delle categorie italiane (serie di concetti che egli definisce “concetti polarmente coniugati”) a Parigi intorno alla metà degli anni Settanta, quando, insieme a Italo Calvino e a Claudio Rugafiori medita la realizzazione di una rivista (che nelle intenzioni sarebbe dovuta uscire per l’editore Einaudi) che in parte si sarebbe dovuta dedicare alle strutture categoriali della cultura del nostro paese. Nel corso degli anni, alle categorie individuate in un primo momento dai tre intellettuali (architettura – vaghezza, velocità – leggerezza, tragedia – commedia, diritto – creatura, biografia – favola), Agamben aggiunge altre categorie riguardanti il rapporto tra letteratura e lingua italiana: lingua materna – lingua grammatica, lingua viva – lingua morta, stile – maniera. La prima uscita (presso Marsilio)
della raccolta di saggi risale al 1996. Nel 2010, per Laterza, esce la seconda edizione. Questa ulteriore edizione di “Categorie italiane” aggiunge a quelle precedenti quattro studi recenti sull’opposizione tra lingua e dialetto (autori indagati, oltre al Pasolini di “Poesie a Casarsa”, Cecchinel, Giusti e Crico): una comprensione della tradizione poetica italiana che non si misurasse con questo tenace e irriducibile bilinguismo, scrive Agamben nell’avvertenza all’ultima edizione, rischierebbe di mancare il suo scopo. “Categorie italiane”, lettura densa e illuminante sospesa tra filosofia, estetica, filologia e analisi critica, riflette il pensiero dell’autore secondo cui se è vero che non esiste filosofia senza filologia è altrettanto vero che è impossibile l’esistenza di una filologia che non abbia cura del senso dei testi di cui si occupa.
Giorgio Agamben
“Categorie italiane”
286 pagg., euro 19
Edizioni Quodlibet, Macerata 2021.
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