Connect with us

Lo Zibaldone

Castità. La riconciliazione dei sensi

Published

on

di Francesco Roat

Se c’è un termine obsoleto più che mai ai giorni nostri, quello è castità. E non solo: tale parola ‒ secondo l’opinione prevalente ‒ è sinonimo di mortificazione dei sensi, frustrazione, inibizione sessuale o, peggio ancora, di una vera e propria castrazione. Ha dunque ancor senso, oggi, parlare (o scrivere) di castità? Parrebbe di no, eppure Erik Varden ‒ un monaco cistercense norvegese lo ha fatto ‒, offrendo ai lettori un contributo sincero, mai moraleggiante e senz’altro interessante, che, attraverso riferimenti alle Sacre Scritture cristiane, alla letteratura e all’arte propone indizi inaspettati per guardare con occhi nuovi alla castità, mostrandocela come un modo di porsi esistenziale umanamente salutare e tutto da riscoprire.

Tenuto conto che siamo un po’ tutti pronipoti di Freud, nel terzo millennio sembra assodato che per un perseguimento di sé equilibrato e privo di complessi, la piena fruizione di una sessualità libera e consapevole sembra essere il prerequisito essenziale. Altro che castità! Ma, sostiene Varden: “in realtà, il processo funziona al contrario; che non ha senso esperienziale attribuire autonomia orientativa all’istinto sessuale, come se fosse una forza naturalmente ordinatrice destinata ad allineare a sé altri aspetti del proprio essere in un disegno armonioso”.

Questo perché, a detta dell’autore, è giusto la nostra sessualità a dover richiedere “una struttura della personalità”, sulla cui solida base poi crescere. Mentre oggi il fare sesso è attività praticata in età sempre più precoce e quasi – mi si conceda il termine ‒ animalesca più che umana, nel senso maggiormente elevato di quest’ultimo vocabolo. E se fosse invece che coltivare da giovani la castità, non vista in negativo come mera repressione ma in positivo come equilibrata gestione istintuale, potesse permettere una successiva sessualità adulta più soddisfacente, ricca, feconda?

Venendo al significato originario della parola castità, Varden ci ricorda che essa deriva dal latino castus (a sua volta riconducibile all’analogo aggettivo greco katharos), ossia puro, ma nel significato più ampio del termine e che potremmo indicare quale ambito olistico: riguardante tutta la persona, colta come unità psicofisica e spirituale. La castità, in tale ottica, non è da essere intesa quale negazione dell’attività sessuale; semmai come regolazione di essa in funzione di una compiutezza ricercata. Una castità all’insegna d’una pedagogia integrale basata sull’educazione e maturazione degli affetti e delle pulsioni erotiche.

Tenuto conto di quanto detto, si potrà parlare di castità anche all’interno di un’unione amorosa che preveda rapporti carnali; ad esempio nel caso del matrimonio cristiano ovvero in quel rapporto basato su un’unione non meramente ego-centrata e chiusa in se stessa, ma aperta, perché altruisticamente orientata alla procreazione di nuova vita. Il fatto è che, in generale, noi ci occupiamo con sollecitudine degli appetiti fisici e delle spinte passionali del nostro corpo, ma ‒ nota Varden ‒ “siamo spesso sordi alle sue richieste di modi per trascendersi”, per esplorare altre forme di intimità, di relazione e, perché no, di sublimazione.

A questo punto è opportuno tirare in ballo un altro termine desueto ‒ ovvero il contrario della castità: la lussuria. Lussuria vista come brama che, secondo l’autore, si contrappone a quello che lui chiama un desiderio erotico sano: “in quanto non è finalizzata alla comunione, all’abbandono con l’altro, ma tesa all’autocompiacimento, per cui un altro essere umano viene strumentalizzato, non incontrato come persona, ma utilizzato come mezzo verso un desiderio”. In una sorta di reificazione dell’altro, insomma, ridotto a carne, a oggetto da cui trarre il massimo piacere.

Certo l’espressione più alta della castità si ritrova nella predilezione ‒ e ribadisco questa parola: indice di libertà ‒ del volere (e non dovere) restare vergini. Ma ancora una volta occorre chiarire l’aspetto non psicopatologico di una tale forma di rinuncia ad una certa modalità, che non è l’esclusiva, di esprimere l’amore. “La verginità, per essere feconda, deve essere scelta come opzione vibrante di vita. Non può trattarsi semplicemente di una lugubre rassegnazione all’astinenza”. Essa non ha (non dovrebbe aver) nulla a che fare con l’incapacità o l’impossibilità di trarre piacere dai nostri organi sessuali/sensoriali. Astenersi dal nutrire un appetito, osserva sempre Varden: “può essere un modo per imparare ad amare in modo ordinato e fruttuoso”. Per esempio progredendo dalla promiscuità alla fedeltà nei nostri rapporti amorosi.

Così il monaco che ha fatto voto di castità non si è auto-castrato ma si è impegnato a praticare un amore non limitato solo ad una o più persone, bensì offerto a tutti, tramite uno sguardo non rivolto esclusivamente a sé onde ottenere piacere/appagamento, ma aperto nei confronti degli altri, in una disponibilità davvero generosa all’agape, a quella sublime forma d’amore cristiano fatta di autentica carità/cura nei confronti del prossimo.

Erik Varden, Castità. La riconciliazione dei sensi, EDIZIONI SAN PAOLO, pp. 207, euro 20,00

Continue Reading
Click to comment

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply

Copyright © 2020 Leggere:tutti