Interviste
Augusto Boeri “L’era della nientocrazia”
L’era della nientocrazia è il nuovo romanzo di Augusto Boeri, edito da SBS Edizioni. Con uno stile pungente e ironico, l’autore esplora un futuro distopico, dove la politica e il potere si trasformano in una satira spietata delle dinamiche contemporanee. Attraverso una narrazione che unisce surrealismo e critica sociale, il libro invita a riflettere sulle contraddizioni del nostro tempo.
Abbiamo dialogato con l’autore per approfondire i temi e le ispirazioni alla base di quest’opera.
Come è nata l’idea di immaginare un sistema politico come la “nientocrazia” e cosa rappresenta per lei questo concetto?
L’idea della “nientocrazia” è nata osservando le tante assurdità che emergono nella politica contemporanea. Volevo creare un sistema che fosse allo stesso tempo grottesco e realistico, una caricatura estrema di certe dinamiche già esistenti. La “nientocrazia” rappresenta per me il vuoto di significato che spesso si cela dietro le promesse altisonanti e i programmi politici privi di sostanza. È una metafora per una società che si aggrappa a idee stravaganti o futili pur di trovare un’identità e uno scopo, dimenticando i valori essenziali e la capacità critica. Nel libro, questa distorsione diventa una lente attraverso cui esplorare la nostra fragilità collettiva e, forse, la nostra capacità di ridere di noi stessi.
Il suo romanzo si muove tra ironia e distopia. Quali sono i riferimenti o le esperienze personali che hanno influenzato la creazione di questa storia?
Il romanzo è nato dall’osservazione di un mondo che sembra aver smarrito il confine tra realtà e assurdo. Mi sono lasciato ispirare dai paradossi della società contemporanea: il culto dell’immagine, la polarizzazione estrema, il bisogno quasi disperato di trovare soluzioni semplicistiche a problemi complessi.
L’ironia è il mio strumento per affrontare questa confusione: mi consente di smontare i dogmi senza cadere nel moralismo. La distopia, invece, nasce dal timore che, in assenza di un vero confronto critico, potremmo finire per accettare come “normale” ciò che è chiaramente folle.
Le esperienze personali entrano nel testo in forma di dubbi e contraddizioni: la difficoltà di decifrare il mondo, il fascino delle idee rivoluzionarie, ma anche la consapevolezza di quanto sia facile trasformarle in qualcosa di grottesco. È un modo per esplorare sia le mie inquietudini sia quelle collettive, sempre con uno sguardo che cerca di essere arguto, ma anche umano.
Il caprone Boni Pix è uno dei personaggi più iconici e inusuali del libro. Qual è il significato simbolico dietro la sua figura e il suo ruolo nella narrazione?
Il caprone Boni Pix incarna l’assurdità della politica contemporanea, dove anche chi è totalmente fuori contesto può diventare un leader, purché sia parte di una narrativa efficace. Boni Pix non è solo un animale: è un simbolo dell’estremo bisogno di trovare figure carismatiche o “diverse” per mascherare il vuoto di idee reali. La sua tragica fine lo trasforma in un martire involontario, enfatizzando la fragilità delle cause costruite su fondamenta illusorie. È una provocazione, un paradosso: quanto siamo disposti a seguire chiunque, o qualunque cosa, pur di trovare un senso in un sistema sempre più insensato?
Secondo lei, quali parallelismi si possono tracciare tra il mondo nientocratico che descrive e la realtà politica e sociale odierna?
Il mondo nientocratico è una lente distorta, ma non troppo, attraverso cui osservo il nostro presente. La realtà politica e sociale odierna sembra spesso sfiorare il paradosso: il culto dell’apparenza, la spettacolarizzazione del potere e la necessità di catturare consensi a ogni costo sono temi che riecheggiano nella mia narrazione. La “nientocrazia” esaspera questi tratti, portandoli a un livello grottesco, ma resta, in fondo, un riflesso della nostra epoca. Viviamo in tempi in cui l’intrattenimento si mescola con la governance, e il dibattito perde profondità in favore di slogan. La domanda che il libro pone è: fino a che punto siamo disposti ad accettare l’assurdo prima di riconoscerlo come tale?
L’idea di immaginare un sistema politico come la “nientocrazia” è nata come una riflessione sulle contraddizioni e gli eccessi del nostro tempo. Viviamo in una società che spesso sembra incapace di risolvere le sue crisi e che, pur cercando il progresso, finisce per essere travolta dal caos e dalla confusione. La “nientocrazia” rappresenta un paradosso: un sistema che, per definizione, rifiuta ogni tipo di struttura e di controllo. È un gioco sul vuoto, sull’idea di un governo che non governa, un’utopia negativa in cui i poteri tradizionali, i valori e le regole sociali sono messi in discussione.
Questo concetto è anche una critica ironica alla nostra realtà politica: un sistema che sembra più concentrato sulla propria sopravvivenza che sul miglioramento della vita dei cittadini. La “nientocrazia” esplora l’idea che, a volte, l’assenza di regole o il distacco dalle convenzioni sociali possa portare, paradossalmente, a una nuova forma di controllo, dove ogni individuo o entità può affermare la propria visione della realtà. È una riflessione sul potere, sulla sua natura, e su come può facilmente scivolare nell’assurdo, pur rimanendo perfettamente funzionale a un ordine che, apparentemente, non esiste.
Penso che la “nientocrazia” parli anche di una disillusione rispetto al sistema politico tradizionale, ma con un tono acuto e ironico, che cerca di divertire e far riflettere allo stesso tempo.
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