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Pentecoste 1912. Il mio viaggio in Italia

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di Francesco Roat

Pentecoste 1912. Il mio viaggio in Italia è un’opera minuscola per mole, ma preziosa e rivelatrice per contenuti. Il breve testo giovanile di Walter Benjamin, qui edito in una raffinata versione bilingue da Aragno, fu redatto nel maggio di quell’anno come discorso inaugurale del circolo giovanile “Friburgo”, parte del movimento della Jugendbewegung tedesca, di cui Benjamin fu membro attivo. Nonostante l’apparente marginalità, questo frammento si rivela un documento essenziale per chi voglia comprendere la genesi dello stile e del pensiero del primo Benjamin, in un momento in cui idealismo giovanile, tensione etica e mistica del linguaggio si saldano in un’intuizione che ha già tratti profetici.

Il testo si sviluppa come una sorta di omelia laica, in cui Benjamin prende a emblema la Pentecoste cristiana non tanto nella sua dimensione teologica, quanto in quella simbolica: l’irruzione dello spirito, la nascita della comunità attraverso il linguaggio. Il giovane Benjamin, diciannovenne, concepisce qui un’idea alta della parola, vista come forza fondativa capace di creare legami e di evocare un’esperienza interiore non riducibile né all’ordine istituzionale né a quello meramente razionale. Il linguaggio, in Pentecoste 1912, è già ciò che sarà nei suoi scritti più maturi: un medium spirituale, attraversato da una forza storica e salvifica, benché qui ancora immerso in un tono lirico ed enfatico.

Come nota con finezza il curatore Lucio Coco nell’introduzione (ricca di riferimenti e punteggiata da un’attenzione filologica che non smorza la leggibilità), l’interesse di questo testo non sta solo nel suo contenuto, ma nella postura che Benjamin vi assume. È il primo tentativo, ancora acerbo ma già determinato, di porsi come guida intellettuale di una comunità elettiva, svincolata da vincoli confessionali e politici, e fondata invece su un’idea di purezza etica e di rigenerazione spirituale. In questo senso, Pentecoste 1912 si situa all’incrocio tra la predicazione giovanile ebraica, la mistica protestante e una sensibilità romantica tardiva, che si esprime in uno stile intensamente simbolico e talora criptico.

L’edizione Aragno si distingue per l’eleganza tipografica e per la scelta di affiancare il testo originale alla traduzione italiana, utile per cogliere le sfumature retoriche e lessicali del giovane Benjamin. La curatela è sobria e precisa: le note chiariscono senza appesantire, l’introduzione orienta senza sovra-interpretare. In definitiva, Pentecoste 1912 è una piccola soglia: vi si accede per curiosità filologica o per passione benjaminiana, ma vi si resta per la densità inattesa di una voce che, pur giovane, parla già da un altrove carico di risonanze. Il testo non offre soluzioni, ma invoca una comunità fondata sulla parola e sullo spirito ‒ non lontana, per tensione, da quella che Benjamin avrebbe più tardi cercato nell’arte, nella filosofia e nella politica. In tempi di impoverimento del linguaggio e di smarrimento collettivo, questa Pentecoste torna ad ammonire: lo spirito non parla attraverso il potere, ma attraverso l’ascolto.

Walter Benjamin,

Pentecoste 1912. Il mio viaggio in Italia

Aragno, Torino 2024

pp. 183, euro 18,00.

 

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