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Vittorio Macioce, “Dice Angelica”
Angelica è la protagonista silenziosa, che subisce, senza che abbia la possibilità di dire la sua, l’amore di Orlando nei due racconti di Ariosto (“Orlando Furioso” e “Orlando Innamorato”). Vittorio Macioce, 53 anni, caporedattore ed editorialista de “il Giornale”, decide di restituirle la voce nel suo primo romanzo “Angelica Dice”, edito da Salani.
L’autore si cala perfettamente nei panni di un’adolescente a cui la letteratura non ha attribuito che una grande avvenenza. Angelica, finalmente, attraverso la penna di Macioce acquista personalità e, se in un primo momento sembra concentrata a mantenere cinismo e bellezza come baluardi della propria esistenza, man mano che la storia procede, si scopre fragile, come tutti gli esseri umani, e per questo bisognosa di trovare se stessa, o, forse, un senso più profondo da attribuire alla sua crescita.
«Di me ti diranno che sono una perdente, una che non sapeva dove andare e troppo in fretta ha rinunciato ai propri sogni. Ho un anello che rende invisibili e permette di distinguere il vero dal falso. È il potere magico più inutile che si possa immaginare in questa epoca. Qualcuno lo vuole?
Sono in questa piazza che ha per ombelico un pozzo, le mura di pietra di una locanda alle spalle e davanti un teatro improvvisato senza quinte e senza sipario. Il paese potrebbe chiamarsi Roncisvalle. È il luogo dove inizia il cammino di Santiago. Attira viandanti e peccatori, con il passo degli affamati e i sorrisi della festa. Ci sono anche io, pellegrina tra i pellegrini. Sto qui, come un’apparizione, sospesa tra le linee del tempo. La mia condanna è restare in questo limbo, a scontare l’eternità.
Eccomi, allora. So che mi cercavi e non mi interessa sapere chi sei. Uno dei tanti, presumo. Uno che dice di essere innamorato di me».
Si presenta così, Angelica, all’esordio della sua storia, della sua visione della vita, che per secoli le è stata taciuta. Scopre, nel suo viaggio, cosa significhi amare, e anche, come ogni ragazza che si appresta a diventare donna, le delusioni, come quella di scoprire che il mondo di eroi a cui ambiva tanto di appartenere non è che popolata da persone vuote, finte.
La maestria con la quale l’autore alterna la voce di Angelica a quella del narratore onnisciente, che, a volte, addirittura si incrocia con quella della fanciulla, è soltanto uno degli elementi che rendono la lettura scorrevole, piacevole, leggera, nonostante la storia in sé non sia mai frivola, anzi densa di contenuto e di significati nascosti: citazioni di canzoni, film, suggestioni e spiegazioni, perché Macioce riesce a mantenere il filo narrativo mentre non soltanto la storia progredisce, ma narra qualcosa in più.
«Quello che mi serve è un disperato, quasi erotico, momento di sollievo. Bere a una fontana. Stomp. Sorpresa».
Questo è il capitolo “La fontana dell’amore”, la citazione velata con cui l’autore omaggia Lucio Dalla è percepibile, e, a qualche rigo di distanza, continuando con la voce di Angelica, prende corpo un secondo racconto.
«Ti racconto allora la storia del più potente dei maghi e della sua infelicità. È lui l’artefice della fontana dell’amore e del disamore. Molti lo conoscono come Merlino. Non sto qui a raccontarti di Artù, della tavola rotonda, di Ginevra e Lancillotto, di Parsifal e del Santo Graal. Ti voglio parlare di come ha perso tutto, della sua fragilità, di come si è messo a nudo, spogliandosi di ogni di ogni arte e difesa, di come si è fidato. Ti parlo del suo amore. No, non per me, ma per la donna che vorrei essere e non sarò mai».
Non è che un esempio di come l’autore giochi con i miti, le leggende e la letteratura immortale, in un intreccio continuo tra passato e presente, che non si fa mai stonato, ma, anzi sembra perfettamente legato, come se per tutto questo tempo nessuno si fosse accorto di un’ovvietà a cui, una volta messi di fronte, non si può che domandarsi perché nessuno ci abbia pensato prima.
Un esordio narrativo che colpisce e che, si spera, non si esaurisca in questo unico romanzo.
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