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Villa del Seminario, il nuovo romanzo di Sacha Naspini
di Gordiano Lupi
Sacha Naspini è uno scrittore vero, che non cavalca le mode, ma segue il suo istinto da narratore di razza, conteso tra Maremma e modernità, tra storie del passato che gridano vendetta e dolori contemporanei, angosce quotidiane e rimpianti antichi. Villa del seminario riporta lo scrittore grossetano alle origini, a quel tipo di storia che ama raccontare, la novella maremmana, sia breve e fulminante come L’ingrato, strutturata come un romanzo corale come Le case del malcontento, intensa e dolorosa come questa nuova storia di resistenza e orrore. Il dramma degli ebrei non è stato qualcosa che non ha toccato la nostra terra, anche se i grossetani non amano parlarne, perché dal 1943 al 1944 c’è stata davvero una villa del seminario che il vescovo Galeazzi affittava ai nazisti per usarla come campo di detenzione per ebrei e prigionieri politici. Alcuni dei personaggi del romanzo di Naspini sono esistiti davvero e risultano tra le peggiori figure di criminali collaborazionisti di cui la Maremma possa vergognarsi, penso al Ciavatti e all’Ercolani, pure al vescovo responsabile d’una delirante follia antiebrea. Naspini indaga su come un intero paese – la sua Roccatederighi che chiama da tempo Le Case – reagisca nel veder costruire in casa propria un campo di concentramento, lo fa inventando il personaggio di fantasia di un ciabattino che vive sulla sua pelle tutti gli orrori di un luogo dove i detenuti si fermano per poco tempo, diretti a Fossano, poi ad Auschwitz, verso lo sterminio. Tra l’altro dal romanzo si capisce come non tutti gli internati fossero destinati all’operazione finale, perché i raccomandati che potevano pagare una mazzetta godevano di un trattamento di favore. Tutto questo rende la cosa ancora più orribile, se mai fosse possibile, vista la complicità della Chiesa. Le case si animano ancora una volta di vita e di orrore, riemergono alcuni personaggi dal romanzo uscito con buon successo alcuni anni fa, forse l’opera più compiuta del narratore maremmano, s’interrogano persino sul nome degli abitanti, sul fatto di non saper come farsi chiamare dagli altri, se non con la perifrasi abitanti delle Case. Ma è la domanda meno importante, di sicuro l’interrogativo meno inquietante, di fronte alla scoperta orribile di un campo di concentramento a due passi dalle loro abitazioni. Sacha Naspini si divide da tempo tra due dimensioni, una più moderna e contemporanea (Ossigeno), una territoriale e maremmana, di sicuro la più felice, dove la sua penna è capace di raccontare storie e personaggi che restano indimenticabili nella mente del lettore. Il suo stile chirurgico ed essenziale, scarno e senza fronzoli, non bada a compiacimenti letterari, ma rende fluida e comprensibile la narrazione, montata in modo consequenziale, molto classico, da narratore maremmano erede della tradizione di Bianciardi e Cassola. Villa del seminario non è come Nives che si legge tutto d’un fiato, questo è un romanzo che ha bisogno d’essere metabolizzato, direi quasi centellinato, perché ogni capitolo è una ferita aperta difficile da rimarginare. Stupendo il finale, quando nessuno vuol parlare del passato e altri tentano di riabilitare monsignor Galeazzi come uno che voleva proteggere gli ebrei, mentre chi è stato vittima degli orrori perseguita i responsabili di tanta efferatezza con uno sguardo accusatore che non ammette repliche. Un romanzo storico da leggere e meditare con attenzione per capire una parte del nostro passato che non abbiamo ancora accettato fino in fondo.
NDr. Il libro è stato selezionato come libro del mese di Gennaio/febbraio della nostra rivista Leggere:tutti, e sarà dato in omaggio ai nuovi abbonati. Sul numero, una recensione di Maria Rosaria Grifone.
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