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Vetrina. I nuovi romanzi per l’albero di Natale

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Ritornano in libreria alcuni degli scrittori molto amati dai lettori: Roberto Costantini, Paolo Giordano, Daniel Pennac, Elena Ferrante, Annemarie Schwarzenbach, Giuseppina Torregrossa.

di Francesca Scaringella

L’autunno ha riportato in libreria alcuni nomi molto amati dal pubblico. Sotto l’albero quest’anno potrete trovare Paolo Giordano, che da un viaggio realizzato per un reportage, ha ricavato il suo secondo romanzo; Roberto Costantini, l’ingegnere prestato alla narrativa, il quale ha pubblicato il secondo capitolo della trilogia del male; per arrivare al nuovo libro dello scrittore francese, caro a noi italiani, Daniel Pennac. Grazie ai loro libri percorriamo narrazioni che vanno dal male della guerra, dal dolore di morti su cui indagare, alla conoscenza accurata di un genitore. E se gli scrittori parlano di uomini, le autrici invece affrontano l’universo femminile. Il volto e le menti delle donne viste da due autrici lontane nel tempo e nello spazio. La prima con un monologo di una figura femminile rancorosa, l’altra che decide nonostante l’epoca di seguire il proprio desiderio. E poi due carissime amiche che ritroviamo nel seguito del romanzo di quella che viene considerata la più grande scrittrice italiana del nostro tempo, Elena Ferrante.

Paolo Giordano torna in libreria dopo il suo esordio di circa cinque anni fa, La solitudine dei numeri primi, un romanzo che vinse il Premio Strega e da cui è stato tratto anche un film. Dall’esperienza dell’autore in Afghanistan nasce Il Corpo umano, un racconto in cui dalla struggente conoscenza della guerra giovani uomini si interrogano sul senso profondo della vita e sul senso di tutto quello che li circonda. Se i pensieri vanno in una direzione che la mente può anche non controllare, il nostro fisico sembra più adattabile a ciò che ci circonda, anche se la vulnerabilità del nostro corpo purtroppo è ciò che ci lega alla terra. E se sei un giovane alle tue prime prove di vita, trovarti in una delle aree più pericolose del conflitto, può sconvolgerti l’esistenza, ma anche darti modo di riflettere sulla vita che hai lasciato a casa. Interrogandosi perciò sul significato della morte fisica, Giordano riesce a toccare le corde dell’anima e di ciò che è intangibile.

Attraverso la fisicità dell’uomo passa anche, con una coincidenza curiosa nel titolo, il nuovo romanzo di Daniel Pennac. In Storia di un corpo, tradotto da Yasmina Melaouah, l’autore narra, utilizzando le pagine di un diario, la storia di una persona dal punto di vista totalmente fisico della sua esistenza. Tutte le sue esperienze sono comunicate solo se accompagnate da espressioni dei nostri cinque sensi. Lison ha perso suo padre e dopo averne celebrato le esequie, le recapitano un pacco. Al suo interno vi è il diario sensoriale di suo padre, che meticolosamente dai dodici anni di vita teneva. Più che una storia del suo vissuto in sè, è la narrazione della vita che passa attraverso i suoi cinque sensi. Il suo testamento è tutto qui, questo diario. Lison conoscerà in questo modo intimamente l’uomo e non solo la figura paterna. Gioie, dolori, odori e suoni sono tutte le memorie che quest’uomo lascia in eredità. Molto originale il lavoro realizzato da Pennac, che in capitoli brevi, proprio come un diario, riesce a non essere monotono, anzi brillante e ironico con uno sguardo, a volte anche amaro, sul tempo che passa e lascia i segni sul nostro corpo.

 

Nell’abisso di menti turbate da dolori immensi, che si protraggono negli anni, invece ci porta il secondo romanzo di Roberto Costantini, Alle radici del male. In questo racconto, prequel di Tu sei il male, pubblicato lo scorso anno, ritroviamo il commissario Michele Balistreri nei suoi migliori anni. Sono gli anni Sessanta, quelli della giovinezza del commissario che cresce a Tripoli, in Libia, origine stessa dell’autore del libro. Due atroci morti, due amori impossibili, un complotto contro Gheddafi e un patto di sangue. Questi gli elementi su cui si fonda questo secondo capitolo, carico  di omicidi efferati, ma anche di segreti e laceranti episodi che segnano il protagonista e che spiegano quei suoi comportamenti autodistruttivi e vendicativi.

 

 

 

 

Di nuovo troviamo un seguito tra gli scaffali della libreria. Questa volta è quello di Elena Ferrante, Storia del nuovo cognome, sequel de L’amica geniale. Lila ed Elena sono due amiche che abbiamo imparato a vedere crescere. Anche se legate da un rapporto amore-odio, non possono fare a meno di cercarsi. Il destino di ognuno d’altronde non è solo segnato dal proprio carattere, ma anche da tutto il sistema culturale in cui ti ritrovi a confrontarti. L’una si sposa giovanissima e soccombe a un mondo fatto di violenza quotidiana, l’altra tenta in tutti i modi di uscire da una realtà che la soffoca. Tra scatti di generosità, ma anche di invidia e gelosia, il rapporto tra le due donne scandisce la situazione di una città e della condizione delle donne, dipingendo pensieri e azioni che segnano il nostro Paese.

 

 

Torniamo indietro nel tempo, di nuovo con storie di donne, stavolta però incastonate in un periodo ben diverso dalla contemporaneità. È il natale del 1929 e Annemarie Schwarzenbach, scrittrice svizzera, molto eccentrica, frequentatrice dell’alta borghesia ed omosessuale, narra di un colpo di fulmine che le cambia la vita. Immersa nel mondo patinato degli hotel di lusso delle montagne svizzere, la Schwarzenbach descrive il tormento e la brama di riuscire ad avere l’attenzione di quella donna che la folgora in un ascensore. Il desiderio in quell’istante è più importante di qualsiasi altra cosa al mondo. Ogni cosa è da lei illuminata, traduzione di  Tina D’Agostini, è il racconto di una passione tutta al femminile di questa autrice che all’epoca aveva solo ventuno anni. Il manoscritto, conservato inedito nell’Archivio svizzero di letteratura di Berna, è stato ritrovato solo nel 2007 dalla nipote, che ha seguito poi la pubblicazione e curato la postfazione.

 

Infine, vi proponiamo un racconto dai sapori siciliani. Anch’esso tutto al femminile, incentrato sulla dura esistenza di una donna che ha portato avanti una gravidanza non desiderata. Adele di Giuseppina Torregrossa è un monologo teatrale che ha vinto nel 2008 il Premio Roma “Donne e teatro”. La protagonista, ormai grande, ripercorre con toni rancorosi la vita sacrificata che ha fatto per i suoi figli e suo marito, un uomo che nessuna voleva. E soprattutto indaga sul rapporto col primo figlio, nato da un rapporto fugace con un uomo che la abbandonò. Torregrossa riesce a narrare tutte le sfumature dell’amore materno, che può racchiudere contraddizioni così intime  da arrivare anche al rifiuto totale.

 

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