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Verso una monarchia più vicina alla gente

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di Antonio Caprarica

La nascita del bisnipote George Alexander Louis ha  regalato a Elisabetta II l’evento più felice per celebrare i sessant’anni dall’incoronazione, il 2 giugno 1953. Grazie a quell’esserino di 3 chili e ottocento grammi, venuto al mondo il 22 luglio 2013 alle 4,24 del pomeriggio, la dinastia si proietta fiduciosa verso la fine anche di questo nuovo secolo. Nel 2066  non sappiamo chi sarà sul trono ma si può ragionevolmente supporre che il trono ci sarà ancora, festeggiando i mille anni della monarchia stabilita dai normanni sull’isola nel remoto 1066.  Nessuna istituzione politica al mondo, salvo il papato, può vantare  un simile record di durata.

Pensare che all’inizio del Novecento Edoardo VII era decisamente più pessimista. Presentò a un visitatore l’erede principe di Galles, in seguito Giorgio V, con le seguenti parole : “Questo è mio figlio, l’ultimo re d’Inghilterra”. Al contrario, Giorgio fu il primo di una nuova dinastia, sebbene solo di nome:  dai tedeschi Hannover e Saxe Coburgo-Gotha all’inglese Windsor. E quel camaleontico mutamento di pelle fu una delle ragioni per cui ci sono ancora teste coronate a Buckingham Palace anziché in esilio sulla Costa Azzurra.

Effettivamente, la sopravvivenza della monarchia britannica non é solo clamorosa ma appare francamente sbalorditiva. Nessuno ha lavorato più alacremente dei suoi principi per demolire l’immagine e la popolarità della dinastia. Aveva  ragione George Bernard Shaw quando faceva dire a un suo personaggio: “L’Inghilterra ha prodotto milioni di fruttivendoli per bene ma mai un monarca per bene”.

Aveva ovviamente sott’occhio le imprese dell’erede del momento, quel Bertie destinato a diventare Edoardo VII (alla morte della madre Vittoria) e che intanto passava da un letto a un tavolo da gioco a un ippodromo, e viceversa. Tra le sue amanti più famose l’attrice Lily Langtrie e Alice Keppel (bisnonna di Camilla, è un fatto di famiglia…), ma fu pure costretto a subire l’onta del tribunale in un processo per adulterio. Era del resto in linea  con la morale sessuale decisamente lasca che ha sempre dominato la corte degli Hannover. Dal primo (1714) al quarto Giorgio, tutti maniaci della copula che concepivano come una partita di caccia: al posto del cervo, una donna da abbattere.  Filippo d’Edimburgo ha tenuto fede alla tradizione (e perfino della regina si narra di un lungo affaire con il fedele lord Porchester).

Anche l’inaffettività pare una caratteristica genetica. Giorgio I e Giorgio II, benché padre e figlio, trascorsero senza parlarsi gran parte della loro esistenza. A  un certo punto, il vecchio sovrano, per una banale questione di etichetta, arrivò a sfrattare il figlio dal palazzo reale di St.James’s, sequestrando però nella reggia i nipotini. L’unica cosa che li legava è che le amanti di entrambi appartenevano alla stessa famiglia.

Giorgio I non si curò mai di imparare l’inglese e Giorgio II esibì una volgarità leggendaria, particolarmente rozzo con le dame d’onore della moglie Carolina, che considerava il suo harem. Gli andò male solo con Mary Bellenden, “la donna più seducente e attraente del suo tempo”: cercava di tirarsela accanto sul sofà ma lei testarda restava in piedi e a distanza, allora Sua Maestà tirò fuori la borsa del denaro e cominciò a contare, ammiccando, le ghinee che c’erano dentro. Rossa per l’ira, Mary sollevò il bel piedino e con un calcio mirato alla mano del sovrano fece volare per aria tutto il gruzzolo.

Elisabetta ha il vizietto contrario: è, diciamo, molto economa. Quando il figlio Carlo prossimo a metter su casa da solo, le chiese qualcuno dei mobili di grande valore ammonticchiati nei depositi di Buckingham Palace,  lei rispose secca di no. “Perché no?”, insistette l’erede. “Perché sono miei. Comprateli”. Al momento del divorzio con Diana, nel ’97, accettò di prestare al figlio 17 milioni di sterline da versare a Lady Di. Ma a condizione che glieli restituisse, come Carlo sta facendo,un po’ all’anno. Forse farebbe prima se la smettesse di sprecare a colazione tutte quelle uova: le ama alla coque ma esige che gliene servano sette per scegliere quella  cotta a puntino.

Taccagneria a parte, Elisabetta è stata una straordinaria regina. E la monarchia che  si prepara a consegnare al nipote William, dopo una transizione prevedibilmente breve di Carlo, non ha più niente in comune  con la remota Età del Privilegio. Non che gli inglesi  vogliano vedere i loro re e regine andare in bicicletta , alla moda scandinava. La pompa, le cerimonie, le fanfare scaldano il cuore dei sudditi e li rassicurano su un futuro non troppo mediocre o, quanto meno, degno di un grande passato. Non chiedono alla monarchia di rinunciare a Buckingham Palace ma solo di non essere più, come denunciava Diana, “out of touch”:  insensibile, lontana dalla vita e dalle preoccupazioni della gente comune. E questo è il grande salto che forse solo il figlio di Diana è in grado di fare. Certo, anche William è andato a vivere nelle 50 stanze di un’intera ala della reggia di Kensington Palace. Ma a lui riesce naturalmente ciò che al padre Carlo non riuscirà mai. I sudditi lo sentono vicino.

È un effetto che deve molto anche all’incontro con la moglie Kate. Con William arriverà per la prima volta sul trono un re middle-class: un monarca che condivide intimamente gli stessi valori della classe media, a cominciare da una famiglia unita e affettuosa. A Buckingham Palace lo ha preceduto una schiera di impareggiabili dissoluti ma “Wills” non potrebbe essere più diverso da questi antenati che non ammettevano limiti al proprio capriccio. È una fortuna per gli inglesi. Ma bisogna riconoscere che senza i “principi del peccato”  ci saremmo perduti  “il romanzo dei Windsor”.

“Il romanzo dei Windsor” è il nuovo libro  di Antonio Caprarica

Elisabetta II è stato il colpo di fortuna della monarchia nel secolo appena finito. Lo zio che abdicò nel 1936, Edoardo VIII, rappresentava la più completa continuità con la tradizione di mattane, dissipazione, egoismo, follia dei maschi della famiglia Hannover da Giorgio I (1714 ) fino a oggi. Analogamente, a salvare la corona  nell’Ottocento provvide una donna, la grande Vittoria, succeduta a 18 anni a quelli che gli inglesi chiamavano “the wicked uncles”, gli zii malvagi, soprannome che dice tutto sulle attitudini e la moralità di Giorgio IV, Gugliemo IV e  la torma dei loro fratelli. Sono tra i personaggi che animano Il romanzo dei Windsor  (Sperling&Kupfer, pp.306, euro 18,50), una cavalcata – come recita il sottotitolo – attraverso “amori intrighi e  tradimenti nei 300 anni di favola reale”. Protagonisti, una serie di principi così eccessivi nei difetti, nell’accanito inseguimento del piacere, nelle svergognate eccentricità da fornire materiale più al romanziere che al saggista. Ed è soprattutto con questo spirito che Caprarica confessa di averli raccontati.

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