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Una riflessione filosofica sul giusto modo di vivere lo sport

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di Andrea Coco

Fino a tempi non troppo lontani la cultura italiana raramente ha riconosciuto allo sport lo status di oggetto degno di considerazione intellettuale e quando lo ha fatto l’intenzione è apparsa spesso liquidatoria e teoricamente sommaria.

Nell’Almanacco Bompiani del 1971, Umberto Eco alla voce “Sport” criticava duramente la pratica sportiva, conformandosi a una tradizione consolidata, non soltanto in Italia, nel ridurre lo sport a fenomeno tutt’al più sociologico, sostanzialmente deprecabile e tanto più deprecabile quanto più inteso come strumento di potere in mano alle classi dominanti.

E un autorevole filosofo italiano di una generazione precedente, Giulio Preti, in un altro numero dello stesso Almanacco Bompiani (quello del 1959), incaricato da Valentino Bompiani e Cesare Zavattini di stendere la voce «Agonismo» per un loro «Vocabolarietto dell’Italiano» incluso nel volume, si era espresso sullo sport in termini ancora più espliciti e inappellabili. Dopo una condanna sine die della personalità agonistica («è notevole il fatto che quegli individui in cui l’agonismo è molto sviluppato in generale sono poco intelligenti, o meglio, manifestano poca intelligenza personale, poca personalità») associata in modo diretto allo spirito borghese («agonismo e borghesismo sono pressoché sinonimi»)

Una ostilità presente anche tra le file degli scrittori. Nello stesso Almanacco del 1959 lo scrittore siciliano Ercole Patti si confessava pentito di essere stato in gioventù appassionato di sport dopo aver assistito di persona a spettacoli di fanatismo sportivo, come quel tifoso colpito da un infarto durante una partita del Napoli che invocava «Attila, Attila» (il centravanti del Napoli Attila Sallustro) e che, raggiunto dal suo idolo all’ospedale, di lì a poco sarebbe morto contento, sospirando per un’ultima volta: «Attila!».

Del resto, nemmeno le Olimpiadi di Roma del 1960 seppero riconciliare la nostra classe intellettuale con lo sport agonistico.

Solo in tempi più recenti la relazione tra intellettuali e sport si è per molti versi trasformata, se non addirittura rovesciata. Al giorno d’oggi, infatti, quasi non c’è figura pubblica di intellettuale, specie se di una qualche fama o notorietà, che non ostenti appena può una qualche sua passione sportiva, soprattutto quelle vissute da semplice tifoso. Dal sussiego misto di disprezzo e commiserazione si è passati, nel giro di pochi decenni, alla imitazione compiaciuta del tifo popolare, talora con effetti kitsch non meno fastidiosi della irremovibile allergia anti-agonistica di Umberto Eco e Giulio Preti.

E tuttavia l’intellettuale di oggi che si dichiara appassionato di sport non sempre rappresenta una rottura rispetto alla ripulsa dell’epoca precedente. Può capitare che l’odierno intellettuale-tifoso si dimentichi di essere un intellettuale quando si occupa di sport, e non si occupi di sport quando veste i panni dell’intellettuale.

Tuttavia, non c’è dubbio che le cose negli ultimi decenni siano per altri versi profondamente mutate. Il più recente monumento editoriale eretto in Italia allo sport, l’Enciclopedia dello sport Treccani in sette volumi per oltre cinquemila pagine, pubblicata agli inizi degli anni Duemila, già in sé testimonia di un nuovo atteggiamento della cultura nei confronti del fenomeno sportivo, e comprende tra i molti contributi un prezioso e accurato studio di Francesca Petrocchi, non limitato al panorama italiano, che sintetizza la crescente attenzione e il moltiplicarsi di testi, fino a costituire ormai una biblioteca a sé stante, che molti scrittori di prima grandezza delle principali letterature mondiali hanno in vario modo dedicato allo sport. Se manca qualcosa, ancora, soprattutto nell’ambito della tradizione italiana (meno in quella europea e nord-americana) è forse proprio una maggiore attenzione per lo sport da parte di uno sguardo più orientato in senso filosofico e antropologico: se sono in tanti e con risultati spesso notevoli ad aver scoperto lo sport quale eccellente materia di racconto, pochi ancora, tutto sommato, lo hanno considerato e lo considerano un degno oggetto di pensiero.

E questo saggio di Mauro Parrini “Sport, una riflessione filosofica” nei limiti di una trattazione sintetica, vuole articolare una riflessione sullo sport che vada oltre i vecchi pregiudizi intellettualistici e le nuove mode mass-mediali di esaltazione acritica dello sport, riconoscendo per quanto possibile alla pratica sportiva la complessità di fenomeno antropologico, tale cioè da rivelarci qualcosa di profondo ed essenziale di ciò che intendiamo come vita, e vita umana.

Nelle prime due parti di questo testo l’autore cercherà di articolare una riflessione che contribuisca a meglio definire come il concetto di sport si sia venuto elaborando, principalmente alla luce di quanti, soprattutto nell’ultimo secolo, per ragioni e in contesti differenti, ne hanno fatto oggetto della propria ricerca teorica.

Nella terza, cercherà di rispondere in termini più concretamente esistenziali alla domanda su quale tipo di esperienza, di sé, della vita e del mondo, si apra all’esserci umano nel momento in cui impegna sé stesso in una pratica sportiva che implichi una componente agonistica, per quanto essa possa essere vissuta anche in modo dilettantistico.

L’impostazione del testo si muove interamente all’interno della tradizione culturale e filosofica che, per intendersi, si può definire occidentale. Più nello specifico, essa privilegia la componente «continentale» di tale tradizione, e si riferisce a quella «analitica» solo laddove essa ci sembra offrire spunti interessanti il proprio discorso (usiamo le due categorie secondo la diffusa distinzione tra filosofi «analitici» e «continentali», assumendola come indicativa al di là di tutte le sue possibili declinazioni). Se e come esperienze di altro tipo e generate da altre culture (le arti marziali orientali, per esempio) stiano in relazione con il concetto occidentale di sport sarebbe tema di estremo interesse ma che va certamente oltre i limiti, circoscritti, di questa opera.

L’autore

Mauro Parrini vive e lavora a Prato. Laureato in Storia della Filosofia, insegna da molti anni Filosofia e Storia nei licei. Ha scritto un Dizionario (raccontato) della lingua del ciclismo, premiato dal Coni nel 2019. Con Mursia ha pubblicato Pietro Chesi, il ciclista in camicia nera (2014), Erminio Spalla, il pugile artista (2018) e Pedali nella leggenda. Le rivalità che hanno scritto la favolosa storia del ciclismo (2020).

 

MAURO PARRINI

Sport. Una riflessione filosofica

2023, Mursi

pp.192, euro 16

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